Il problema dei tre corpi è di facile soluzione. No, qui non si parla solo di Sinner, Dybala e Berrettini e dei loro guai fisici. Ma della serie Netflix. Contiene un paradosso linguistico in sé: il suo problema è nei… corpi. Non quelli celesti del titolo, ma quelli che appaiono sullo schermo, i personaggi, sono privi di carisma. Un po’ per demeriti attoriali (soprattutto l’Auggie di Eiza Gonzalez è davvero piatta), un po’ per problemi di scrittura. Per carità, il libro della cinese Liu Cixin, da cui è tratta la serie, non è di facile digestione. Men che meno è semplice da trasferire sullo schermo, piena come è di nozioni scientifiche. Eppure la parte scientifica è una delle cose meglio riuscite del prodotto. Presente, ma non onnipresente. Semplice da comprendere, ma non per questo poco accurata. Il problema sono i personaggi, schiacciati da un co-protagonismo corale che proprio non funziona.
Troppo. Troppo veloce
La colpa, probabilmente, è del ritmo accelerato che gli sceneggiatori hanno dovuto imprimere alla serie per far rientrare tutto. Lo stesso ritmo accelerato che è di sicuro una delle concause dei problemi fisici di Sinner, Dybala e Berrettini (e di tanti altri atleti, costretti a fermarsi sul più bello o a stringere spesso i denti). Questa compressione così estrema di eventi in spazi temporali esigui quasi fisiologicamente azzoppa.
Rallentare. O fermarsi
Poi ci sono le questioni filosofiche ed etiche di questa serie: per definizione hanno bisogno di tempo per essere generate, espresse, sviluppate, “assunte”. Quindi, in questa ode alla velocità fisica e della fisica (intesa proprio come materia scientifica), ci sono solo rapidi accenni, idee (belle) che si affacciano per poi ritrarsi nella speranza che lo spettatore sviluppi meglio i concetti fuori dallo schermo. Per cavoli suoi.
Insomma, rallentare (o fermarsi ogni tanto) sarebbe la soluzione sia per la serie sia per gli atleti. Il pubblico, i tifosi, capirebbero. O capiranno.