L'orto di Avati è sempre verde

Esce il 6 marzo il film "L'orto americano" con Filippo Scotti. Il regista "scopre" il bianco e nero: "Horror e gotico insieme, un genere "ibrido" per una storia d'amore"
Valeria Ancione
7 min

L’orto di Avati è sempre verde. Cinquantacinquesimo film di Pupi, maestro dell’arte, regista, sceneggiatore, scrittore: un signore con la barba, che a 85 anni (già dice 86 e li compirà a novembre) non invecchia ma si rigenera, e il peso dell'età semmai ce lo ha solo nel parlare lento. Ironico, disponibile, spiritoso, con quella umiltà che è consapevolezza, propria di un maestro, e una energia da fare invidia, effetti collaterali della bellezza che si produce, Avanti come sempre si concende, al ritorno nelle sale con “L’orto americano”, una storia con accenni di horror e un bianco e nero di forte personalità che riconduce al gotico e che fa ritorno a qualcosa di noto e confortevole. Come il passato, come un film di genere, come un film d’amore. Già, una storia d'amore di quelle impossibili che si trasformano in prigione, ossessione o compagnia. Chissà, forse anche l'amore con la sua aspirazione a esser vissuto è un grande amore. In sala da giovedì 6 marzo, con la produzione inossidabile del fratello Antonio e la partecipazione di Tommaso, figlio di Pupi, nel ruolo di cosceneggiatore, che ammette: “Il lavoro con mio padre è un’officina, si impara tantissimo. Benché sia disponibile, aperto, comprensivo e umano, è tosto lavorare con lui, specie se metti le mani su un suo romanzo. Eh... bisogna saper combattere. Io non amo il film di genere, l’horror in particolare, sono rimasto scioccato da “La casa delle finestre che ridono”. Papà ci portò, a me e i miei fratelli, a vederlo, dicendoci che era un film normale, non abbiamo più dormito. “L’orto americano” è un ibrido, ha due anime, un gotico classico che si ispira a Hitchcock, un drammone psicologico ed esistenziale, con un romanticismo direi anacronistico. Sono due film in uno praticamente”.

Una storia d'amore

Per Pupi Avati, il cinema deve raccontare l'amore. “La storia che narro, anticipata dal romanzo omonimo pubblicato da Solferino, è anche “scorrettamente” una storia d’amore. Una storia d’amore assoluta, dove l’impossibile diventa possibile. Il cinema ti mostra come basti uno sguardo per capire che quella è la persona giusta per tutta la vita. Io quello sguardo l’ho incontrato 60 anni fa, so che non potrebbe esserci un’altra al posto di mia moglie. L’amore ti fa pensare che esiste il "per sempre". Sarà la demenza senile, il mio invecchiamento, ma mi sto convincendo che è fondamentale per l’esistenza illudersi che il “per sempre”, che era stato abolito, invece esista davvero”.

La compagnia dei morti

Morti, fantasmi, voci. In bilico tra lucidità e follia. O cosa? “Ho una pulsione verso i rituali scaramantici piuttosto segreta, privata – confessa il regista - In questa ultima parte della mia vita mi sono aperto con una sorta di civetteria alla possibilità di rivelare come fin dall’infanzia abbia coltivato un rapporto con il mondo dei morti. Si tratta di una vera e propria frequentazione, tanto è vero che tutte le sere apro il mio computer e mi ritrovo a leggere l’elenco di persone defunte, una sorta di rosario dei morti: tra parenti e amici sono circa 250. Sono le mie orazioni serali, leggo i loro nomi a mo’ di preghiera e di evocazione con un senso di pacificazione con il mondo e con le cose e le angosce si placano”.

L'essenza del bianco e nero

Ne “L’orto americano” il colore, in tutte le sue variazioni e usi, si piega al bianco e nero, deciso, intenso. “Intanto i costi sono stati bassi, ed è la prova di come si possa fare film di qualità con budget limitati. Il bianco e nero è stata una intuizione e un suggerimento di mio fratello Antonio. Ho così esplorato il cinema nella sua essenza. Alla mia età e dopo tanti film, usando il bianco e nero ho capito che non stavamo facendo un film, ma stavamo facendo il cinema. Per la prima volta nella mia vita facevo quel cinema che avevo sempre amato, dei grandi capolavori scoperti al Cineforum dei Frati Cappuccini di Bologna. Quel susseguirsi di immagini che ti offrivano un succedaneo della realtà, una sua struggente trasposizione”.

Un genere un dialogo

Ritorno all’horror? Sì, ma non troppo. “L'horror non lo abbiamo mai tradito del tutto. Abbiamo aperto finestre, fatto incursioni in film autoreferenziali e autobiografici, però il cinema di genere per me rimane seducente e molto divertente da fare – dice Pupi - E ti auguri che piaccia a generazioni che non sono la tua, insomma è una possibilità di dialogo. Questo è un film ibrido, horror e gotico insieme. L’horror è stato popolare negli anni 70-80. Registi come Dario Argento hanno creato un cinema che si esportava sia in Europa sia negli Usa. Oggi si fa il genere se stesso, Sorrentino fa il genere Sorrentino, Amelio fa il genere Amelio. A me sembra una rinuncia”.

Sinossi

Durante il periodo della Liberazione a Bologna, un giovane (Filippo Scotti, in foto di scena) introverso, ingenuo, tormentato e in contatto coi fantasmi dei suoi morti, che sogna di diventare scrittore, si innamora con uno solo sguardo di una infermiera dell’esercito americano che non rivedrà mai più, se non nei suoi pensieri alimentati dal desiderio di rincontrarla. Un anno dopo si trasferisce nel cuore del Mid West negli Stati Uniti in una casa accanto a quella di un’anziana signora afflitta dalla misteriosa scomparsa della figlia nel nostro Paese. Le loro case sono separate da un orto abbandonato, che nasconde un mistero. Il giovane intraprende una ricerca disperata della ragazza, convinto di ritrovarla ancora viva in Italia dove viceversa si suppone sia morta, ma sarà trascinato in un incubo sempre più oscuro, fino a un sorprendente epilogo.

Citazione dal film

“La prima cosa che faccio, prima ancora di esplorare l’appartamento americano, è decidere dove posizionare la macchina per scrivere per avere vicinissime le foto dei miei morti.... Me li sono portati da Bologna... Sono i miei morti che mi suggeriscono le storie da raccontare. Almeno a Bologna era così. Li fissavo bene, a volte anche per un giorno e poi, all’improvviso mi mettevo a scrivere, fulmineo.... Ho scoperto che per scrivere delle belle storie devi avere molti morti...”.

Il cast

"L’orto americano" è interpretato da Filippo Scotti, Roberto De Francesco, Armando De Ceccon, Chiara Caselli, Rita Tushingham, Massimo Bonetti, Morena Gentile, Mildred Gustafsson e Romano Reggiani. Produzione Duea Film, Minerva Pictures con RaiCinema, prodotto da Antonio Avati, Gianluca Curti e Santo Versace, con il sostegno della Regione Emilia-Romagna.


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