Tra festa ed evento

Una corsa leggendaria di prototipi, nel circuito delle Madonie, le persone si assiepano ai bordi della strada o sui dossi, come villeggianti, persi in una Pasquetta perenne, e intanto aspettano il passaggio delle auto. In questo senso l’emozione non sta nella percezione esatta della fine, qui gli occhi di tutti si trovano sempre in un altrove
Fulvio Abbate
5 min

Saranno all’incirca le quattro di notte quando vengo giù dal letto. Mio padre è invece già lì, a Cerda, meglio presente ai box, dove si conclude il circuito. Meglio, dal giorno prima, papà indossa al braccio la fascia di giudice di gara, che io gli invidio. Si tratta della Targa Florio, forse la più antica corsa automobilistica che il mondo abbia mai conosciuto. Cioè la modernità, pronta a mostrarsi, con le sue automobili, nel paesaggio eternamente identico siciliano. Mia madre invita a sbrigarmi, occorre vestirsi in fretta, partire al più presto, le strade di accesso a breve saranno chiuse dalla polizia stradale, occorre dunque arrivare prima che i posti di blocco siano già stati piazzati, altrimenti, dopo aver parcheggiato nel nulla, saremo costretti a fare molti chilometri a piedi per raggiungere, appunto, le tribune dove abbiamo un posto, per nostra fortuna, riservato. Una marca di benzina locale ha fatto stampare bustine di carta con una grande “M” rossa e blu, servirà per ripararsi e resistere al sole una volta lì, nel dominio di Cerda. La 500 di mia madre ci porta a destinazione. Mia madre è la stessa persona che, anni prima, da ragazza, esattamente nel 1936, aveva fotografato l’arrivo della corsa, una foto perfetta, scattata un istante prima che il vento scompigliasse i festoni tricolori del traguardo; la foto uffi ciale apparsa sui giornali non sarebbe stata bella come la sua.
L’emozione delle livree rosse delle Ferrari, poi le livree azzurre e arancio delle Porsche sul cofano segnate da due grandi frecce. Da lì a poco, sono sicuro di questo, ne realizzeranno anche il modellino, così come la riproduzione dei box, il traguardo, le linee tratteggiate, il podio, solo per gli appassionati di modellismo automobilistico, esistono molti club in questo senso.
Da qualche parte, a casa, devo avere già una fotografia dove mi trovo in braccio a Vincenzo Florio, l’inventore, l’anima della corsa, lui ha cappello di paglia, io i pantaloni corti. La Targa Florio, l’ho detto, è una corsa leggendaria di prototipi, nel circuito delle Madonie, le persone si assiepano ai bordi della strada o sui dossi, come villeggianti, persi in una Pasquetta perenne e intanto aspettano, se non proprio l’arrivo, il passaggio delle auto, per salutare perfino da sopra gli alberi di ulivo, e ancora incoraggiare i piloti, in questo senso l’emozione non sta affatto nella percezione esatta della fine, cioè del bolide che taglierà il traguardo, la bandiera a scacchi bianca e nera a mostrarsi, no, qui gli occhi di tutti si trovano sempre in un altrove, nell’emozione della straordinarietà della giornata, tra festa ed evento. Nell’azzurro maiolicato, tunisino, immancabile del cielo a fare da coperchio, l’altro, fi no a pochi minuti prima, ricopriva una teglia di anelletti al forno, un’altra di caponata, e il vino per chi ne ha voglia.
In tribuna, dove mi trovo, è tutt’altra storia, una storia borghese cittadina, palermitana, lo sguardo da qui inquadra i box, segue da lontano le discussioni delle scuderie, l’argomento è sempre lo stesso, identico negli anni, anche ora: il duello tra Ferrari e Porsche. Il rosso che sfi da il grigio metallizzato. Così fino a quando il sole prende a scemare, allontanandosi dietro le colline, arriva perfi no un momento in cui mi sento stremato, l’orecchio attento a cogliere novità della gara, si sarà mai in testa? Mio padre, laggiù, ai box, indossa una camicia bianca, pantaloni di lino chiari, e confabula con i secondi piloti, con gli altri giudici di gara. Sarebbe altrettanto meraviglioso poter scendere dalle tribune, bianche di intonaco come in un villaggio tunisino nel deserto, per andare al bar, per l’occasione un noto bar cittadino si è trasferito lì, le sue pizze, i suoi calzoni, le sue arancine custodiscono un’emozione immensa, sembrano giurare che il retrogusto di forno a legna non ci lascerà mai, speriamo insomma che in futuro la qualità non debba mai precipitare.
L’azzurro del cielo, le frecce arancioni sull’azzurro delle Porsche, il rosso delle inseguitrici e, su tutto, la pizzetta che adesso sto mangiando, accanto a mia madre che, previdente, ha un cappello di rafia a forma di pagoda, tutt’intorno invece il popolo delle bustine di carta con la grande “M”, anche loro a proteggersi dal sole. Dalle tribune scorgo ancora, sempre laggiù, mio padre, lui che ha modo di stare ai box, lo vedo conversare con nuovi piloti in tuta bianca, accanto ai meccanici che trasportano pneumatici e carrelli sotto una grande parete rettangolare gialla con quel cane nero a sei zampe; lo invidio, gli invidio la fascia al braccio con la sua fotografia e l’immagine iconica della corsa, un quadro di inizio secolo dove la modernità delle auto irrompe tra i fichi d’India e le case di tufo. Ci sono poi anche quelli che corrono in proprio, come un barone palermitano, capelli imbrillantinati e baffi, con la sua Ferrari simile a uno scarabeo, e quegli altri che hanno provato a fare altrettanto. Lo spruzzo di champagne sul volto del vincitore, la corona d’alloro intorno al suo collo, la giornata così muore e resta da fare ritorno a casa, una lunga fila umana sciama verso le auto, alla prima curva, da un montarozzo, ci avvista un cugino di mia madre, ci invita a una colazione sull’erba, potremmo restare lì fino alla prossima edizione, nessuna nostalgia di fare ritorno in città, a Palermo. Il vento porta via le bustine, le “M” si perdono nell’aria.


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