Il lungo addio

L'ultima Juve di Del Piero: è la parola fine a una favola lunga diciannove anni. Allo Stadium piovono sciarpe dalla curva e lacrime. Lacrime di uomini tatuati, di donne truccate, di giovani adulti, tutti cresciuti con il mito di Alex
Il lungo addio
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13 maggio 2012. Juventus- Atalanta, cala il sipario sul campionato per uno scudetto sulle maglie bianconere già da una giornata. Minuto 57. Sostituzione per la Juve, oggi vestita di rosa. A bordo campo è pronto Simone Pepe. Esce Alex Del Piero, alla sua ultima presenza in campionato con la Juve dopo 19 anni. Attimi di silenzio. La quiete che scatena la tempesta di emozioni che sta per avvolgere lo Stadium. Alex saluta, alza le braccia, si inchina al suo pubblico, manda baci. I tifosi, in piedi, rispondono con un applauso infinito. Iniziano a tremare le labbra che non reggono più la commozione. Gli occhi luccicano e le prime lacrime rigano volti di ogni età. Del Piero è al centro del campo. I compagni gli fanno da corona, così pure gli avversari e l’arbitro. Padoin, commosso, bacia il suo capitano. Lo stesso fa Lichtsteiner, Bonucci gli sfiora i capelli. A passi lenti Alex si avvia verso la linea laterale, dando il “cinque” a chi gli porge il palmo per salutarlo. Il viso è illuminato da un lieve sorriso. Colantuono, il mister atalantino, gli fa una carezza ancora in tempo utile. L’abbraccio con Pepe, quindi quello intimo con Buffon. Gigi è seduto da solo a bordo campo, quasi a voler respirare meglio l’aria inebriante che sta invadendo lo stadio. Un abbraccio collettivo per l’uscita dal campo di Del Piero, lo stesso che c’è stato a metà primo tempo, dopo il suo destro del 2-0. Una nuvola rosa ha circondato Alex, l’unica macchia, il nero di Storari, che ha lasciato la porta per rendere omaggio al suo capitano. La fascia al braccio. Non se la toglie Del Piero. Un tatuaggio. La prima volta, inaspettata e sorprendente, il 20 settembre 1998, per volontà dei compagni. “Sei il nostro capitano” gli disse Peruzzi prima della gara. Un gesto bellissimo, per un gusto che oggi Alex ha riassaporato in tutta la sua fragranza quando è sbucato sul rettangolo verde, il primo della fila.

Del Piero esce dal campo, Pepe sgomma in direzione opposta. Gli danno la giacca gialla della tuta, la tiene in mano. Sale le scale che portano alla panchina. La colonna sonora degli applausi lo accompagna in ogni suo passo. Un bambino gli si avvicina. Lui lo carezza e sul foglietto che gli porge gli regala la sua firma da campione, per un gesto da Campione vero. Ancora applausi, strette di mano. La commozione si sta impadronendo sempre di più dello stadio. Si infila la tuta. Tentenna. Il suo animo è sballottato. Il cuore inizia a danzare nel suo petto. È ancora in piedi. Saluta. Si volta verso la Curva Scirea, il segno della “V” e un leggero sorriso. Cerca di non perdersi neanche un secondo della meraviglia che sta vivendo. I tifosi cantano. Della partita interessa nulla. Gli occhi sono tutti per Alex. Adesso è seduto tra Vucinic e Marchisio, che se lo mangia con gli occhi. Trova pace Del Piero, così almeno sembra. Volge lo sguardo in alto e percorre tutto lo stadio. “Che bello”, lo dice con un fil di voce a Marchisio. Intanto i decibel dello Stadium aumentano. “Un Capitano, c’è solo un Capitano”. Il coro si alza altissimo. E’ lui risponde. Ritto, in piedi sulla balaustra. Un condottiero sulla tolda di comando. Le braccia allargate per contenere tutti in un unico abbraccio . Ancora “ciao” con la mano roteante. E poi il gesto del pugno esultante, e la sciarpa che sventola sopra la testa. Del Piero, uno di noi. Lo Stadium ribolle. A lui scende una lacrima, è combattuto. Si siede di nuovo. La Curva Scirea lo acclama, lo vuole. Alex si alza, scende le scalette. C’era un protocollo da rispettare? Va dove ti porta il cuore. È di nuovo sul prato. Vira verso destra, a seguire il richiamo del suo popolo che si fa sempre più intenso. Cammina a passi lenti, uno sguardo verso la tribuna alla sua destra, continua a salutare, ricambiato. Il cinque con le riserve dell’Atalanta che si stanno scaldando. L’abbraccio sincero con Quagliarella che sta per entrare. Il dribbling al guardalinee che è colorato come la sua tuta, per non creare equivoci in chi gioca. Perché sì, la partita continua. Ma a chi interessa? Lo stadio è tutto per il suo numero 10. E’ solo per il suo capitano. Del Piero taglia l’angolo della bandierina. Il pensiero vola all’ammucchiata esaltante che proprio in quel punto, al Delle Alpi, il 4 dicembre 1994, lo sommerse dopo il meraviglioso destro no-look del 3-2 alla Fiorentina. Che botta allo stomaco. L’avvertono anche i tifosi. Mantiene la calma Alex, ma oggi è una domenica speciale, unica, memorabile. Il suo cuore è gonfio. C’è spazio per tutto, tranne che per il futuro, non è il momento adesso. C’è il presente di un saluto che vuole gustarsi goccia per goccia, fi no in fondo. E c’è il passato che riaffiora. Con tutta la sua gamma di ricordi e che vuole avere la sua parte, segmento per segmento, seguendo il perimetro del campo di gioco. Con lui.

Piovono sciarpe dalla curva. Piovono lacrime. Lacrime di uomini tatuati, di donne struccate, di giovani adulti cresciuti con il mito di Alex Del Piero. Il capitano ha gli occhi lucidi, raccoglie le sciarpe. Le stringe con la mano sinistra, mentre con l’altra continua a salutare. Uno steward gli fa da valletto, due passi dietro. Uno sguardo alla porta, la sua amica. Un flash back abbagliante per Alex. L’Old Trafford, il meraviglioso gol lampo in Champions. Il delicato esterno destro per l’addio all’Avvocato Agnelli. Il primo gol in bianconero e Baggio che gli rovescia in testa una bottiglietta di Gatorade per un battesimo stellare. E su tutti il destro definitivo del 5 maggio 2002 a Udine per uno scudetto vinto all’ultimo giro e che ancora oggi fa godere.

“Un capitano, c’è solo un capitano”. Il coro della Curva Scirea è assordante. Alex continua la sua passeggiata di gloria. È composto, regale, misurato. Le dita della mano si chiudono in un pugno di vittoria. Arriva fin quasi alla bandierina del corner. Fa un gesto ai tifosi per dire che tornerà (e lo farà), quindi si volta e ripercorre lo stesso sentiero. Anche con la mente. La zona di campo è quella. 8 novembre 1998, Udine, pochi minuti alla fi ne. Il ginocchio che salta. Il dolore, la paura. Poi la ripresa, la rinascita, la rivincita. Le lacrime, prima di disperazione, poi di gioia. Quelle lacrime che adesso versano i tifosi pensando che non lo vedranno più in bianconero. Quelle lacrime che lui fatica a trattenere, mentre tutto lo stadio lo invoca con voce sempre più alta. La temperatura sale, è un crescendo di emozioni. Alex torna verso il centro del campo sul lato lungo del campo. La gola è un nodo che si fa sempre più stretto. Il fi ato è corto, meno male che non c’è più da correre. Il suo incedere è naturalmente maestoso. Il bianco delle scarpette spicca tra il nero dei calzettoni e il verde brillante del prato. La mano sinistra ondeggia al ritmo dei battiti del suo cuore per salutare le tribune bagnate dal pianto. L’altra è sommersa dalle sciarpe. Sono decine, ognuna racconta dell’amore verso chi ha saputo regalare emozioni e colpi di classe. Arriva un magazziniere. A lui Alex affi da il prezioso tesoro. È davanti alla panchina bianconera adesso. Lo stesso punto dove il 12 settembre 1993 a Foggia debuttò in A, al posto di Ravanelli, con mister Trapattoni e Boniperti in cabina di regia. Un’altra Juve. I tifosi lo sanno. Lo sanno che Alex sarebbe rimasto a vita in bianconero. “Nessuno mi ha chiesto di restare”. Per questo, anche per questo, l’addio fa ancora più male. Per questo, anche per questo, lo Stadium grida ancora più forte il nome di Del Piero. Lo vuole tutto per sé. C’è ancora la partita? È un dettaglio.

È la Curva Nord che adesso sfonda il tetto dei decibel. “Un capitano, c’è solo un capitano”. Alex supera di qualche metro la linea di metà campo. Un occhio a quella zolla di terra. Parte da lì Alex in azione rabbiosa e solitaria, il pallone incollato al piede che nessuno te lo può rubare. 18 febbraio 2001. Bari. Una fuga dribbling e il portiere beff ato con un delicato tocco di sinistro. E’ il gol per il suo babbo, l’amato Gino, scomparso da pochi giorni. Le lampadina per dare luce alle sue prodezze di bambino, nel campetto vicino casa. Il dolore intimo, la gioia pubblica. E intanto ancora sciarpe da raccogliere, ancora sguardi da incrociare, ancora gote rigate dai rigagnoli salati che scendono dagli occhi, ancora saluti da regalare al suo popolo. E ancora brividi, sempre più intensi. Tre metri sopra il campo. Anzi, molti di più. Si sfi ora il cielo delle emozioni in questa memorabile domenica torinese di metà maggio. La Nord, è qui adesso Alex. Altro frullato di sensazioni infi nite, scomposte ed eccitanti. Sapori pieni. Aria pulita. Atmosfere da sogno. La porta, la rete. La sua mente si illumina di ricordi ammalianti, mentre i suoi tifosi continuano ad applaudire e a cantare. Il destro al sette che vale la Coppa Intercontinentale nel 1996. Il tacco nella sfortunata fi nale di Champions contro il Borussia Dortmund l’anno dopo. Il gol numero 200 contro il Frosinone, in Serie B. Perché lui, da capitano, non ha abbandonato la nave. Anzi, l’ha riportata sulla giusta rotta. Gesti esemplari, da uomini veri prima che campioni. Il suo popolo lo sa. Per questo, anche per questo, il pianto sugli spalti non si ferma. E nemmeno Alex si ferma. Continua nel suo andare. Posa a terra la marea di sciarpe. Le vorrebbe legare tutte insieme. Un filo rosso per tenere sempre vivo il ricordo del calore e delle vibrazioni di una giornata indimenticabile. Una domenica di raccolto, dopo una semina paziente e costante, durata quasi venti anni.

Continua nel suo giro di campo Del Piero. La festa deve essere di tutti. Applausi anche del settore degli ospiti. Ora è il momento della Tribuna Est. Si ferma, allarga le braccia. Il punto esatto della sua esultanza mondiale, il 4 luglio 2006, dopo il 2-0 tombale alla Germania. Vestito d’azzurro, sopra il cuore bianconero. Che continua a battere forte, fortissimo in questo momento di estasi. I tifosi gli gridano tutto il loro amore. Riconoscente. La commozione, che era arrivata ben presto ai livelli di guardia, tracima. Invade tutto lo stadio. Il lato lungo, quello ad Est sta per essere percorso. Uno sguardo verso il campo, su quella mattonella a una ventina di metri dalla porta, più o meno all’altezza del vertice sinistro dell’area di rigore. Il SUO gol, quello provato e riuscito per la prima volta all’Olimpico di Roma contro la Lazio a fine 1994, un brevetto protetto dal prestigioso copyright della Champions la stagione successiva. Con la Coppa dalle grandi orecchie finalmente conquistata il 22 maggio 1996.

“Sotto la curva, Del Piero sotto la curva”. È ancora la “Scirea” a far tremare lo Stadium. Alex è di nuovo lì, per un bis che lo travolge. Risucchiato dalla forza dell’amore. Respira a pieni polmoni, saluta tutti. Sorride. Ancora cori, ancora applausi, ancora lacrime. Del Piero è all’ultimo segmento. C’è la famiglia Agnelli al completo che gli tributa il doveroso omaggio. I figli di John Elkann applaudono il loro beniamino, ed è il gesto più bello, perché vero. Alex è il campione di tutti. Di chi, già maturo, lo ha visto debuttare ragazzino e lo ha seguito nel suo percorso. Dei suoi coetanei, cresciuti con lui. Dei bambini, per un eroe senza tempo e senza fine.

Sono momenti di assoluta intensità. L’onda delle emozioni, come una “hola”, si impadronisce ancora di più dello stadio. Si sente nello stomaco, nel fi ato che manca, nelle labbra che tremano, nei brividi che attraversano il corpo. Tutti coinvolti, nessun escluso. Alex regge. Ha ormai terminato il suo giro di campo. Soddisfatto. Appagato. Ripagato. Come la notte della standing ovation al Bernabeu, 5 novembre 2008. Coppa dei Campioni. Uno stadio immaginifico. Tutti in piedi. Un applauso per il campione. Un omaggio per il fuoriclasse. Risale le scalette della panchina. Prima ha abbracciato Antonio Conte. Ancora applausi. Ancora lacrime. Per un grazie gridato a tutta forza da uno stadio intero, bagnato da una pioggia entusiasmante di emozioni indescrivibili.

Manca solo l’ultimo atto. La consegna della Coppa del campionato. Le sue mani, quelle del capitano, la sollevano in alto, sotto un diluvio di coriandoli colorati. E’ la sigla finale che chiude una storia lunga 19 anni. La storia di Alessandro Del Piero. 289 gol in 705 partite: il più bianconero di sempre. E per sempre.


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