I Dioscuri di Napoli

L’acquisto milionario di Savoldi confinato in una pagina, una pagina intera però. La vela, la vela. Campioni del mondo. Due napoletani. Come uno scoop
Mimmo Carratelli
10 min

Questa è una vecchia storia e sono vecchio da poterla raccontare. È una storia del 1975. Dunque, è il 15 luglio 1975. Lavoro al Roma di Napoli, il quotidiano di Achille Lauro. Grandi direttori: Alfredo Signoretti, che mi prese da abusivo nel 1957, e Alberto Giovanni che, due anni dopo, mi ha assunto, giornalista-praticante, poi professionista dal 1960. Perché si chiama Roma, bla-bla-bla. In onore alla capitale dell’Italia unita. La generosità di Napoli che capitale era stata. A Roma intitolò il suo quotidiano più antico. Primo numero il 22 agosto 1862. No, onestamente, non c’ero. Con tutta la buona volontà, non potevo esserci. Nel caso, non ci sarei oggi. Però torniamo al 15 luglio 1975. Subbuglio in redazione. Siamo in pieno calciomercato e l’ingegnere Ferlaino annuncia il colpo del secolo: Beppe Savoldi dal Bologna per un miliardo e 400 milioni, più Clerici e la “metà” di Rampanti al club petroniano. Marònn! Voci e contro-voci. Indiscrezioni, smentite. Acchiàppalo l’Ingegnere! Fai e rifai le pagine dello sport. Il giornale è tutto un fermento. Il ticchettìo delle telescriventi. Gli squilli dei telefoni nella stanza degli stenogra? . In tipogra?a, la sinfonia delle linotype con i tastieristi a bere latte per difendersi dal piombo fuso di queste sontuose macchine magiche. In redazione, il ticchettìo sulle pesanti Olivetti nere e sulle Remington da tavolo, i carrelli, bàm, colpiti nervosamente per andare a capo. Il calcio è padrone delle pagine. Respinte le richieste dei collaboratori, 30 righe sulla pallanuoto, 20 righe sul basket, 50 righe sul ciclismo. No, niente. Ridurre in pillole. Contenere. Ridurre. Ma c’è un bel pezzo sulla scherma. Fuori! È sera tardi, dobbiamo chiudere le pagine in tipogra?a. Sull’uscio della redazione sportiva compare Cesarino Giglio, il messaggero delle notizie, minuscolo e delizioso telescriventista emerito, implacabile quando viene a sventolare ogni nuovo dispaccio d’agenzia, novità, novità, cambiare, cambiare. Ma stavolta urla: «Guaglio’ avite a cambiare tutto ‘o giurnale. Campioni del mondo, capite?, del mondo». Cesarino, non disturbare. «Campioni del mondo di vela». Cesarino e vavattènne! «Due napoletani, campioni del mondo!». Azz, Cesarino. «Azz – fa lui – cagnate tutte cose». Il dispaccio della Associated Press cala in redazione come un colpo di scimitarra.

Roberto Mottola e Picchio Milone campioni di vela, laggiù in Canada, napoletani, napoletanissimi, campioni del mondo. Marònn. 15 luglio 1975. Chiammàmm, chiamate, a chi? A questo, a quello, che ne sappiamo noi di Mottola e Milone? Chiamate Carlo Rolandi, il Cary Grant della vela napoletana, uomo a?ascinante, campione olimpionico. Chiamate. Chiamo. Chiamate Pippo Dalla Vecchia, l’enciclopedia parlante, velista e canottiere, sa tutto di vela e canottaggio, sa tutto di boxe, ippica, ciclismo, sa tutta la storia e gli aneddoti di Napoli. Chiamate Pippo Dalla Vecchia. Dove hanno vinto questi due? Ontario, Canadà. Che cos’è Ontario? Un lago. Cazz, e facimme ‘nu piezzo su Ontario, che lago è, quanto è grande, se è colorato. Dobbiamo montare una pagina intera. ‘O proto sta già ‘ncazzato, dice un usciere. ‘O proto è Amedeo Savino, piccolo, muscoloso, elettrico, sa sempre come farcela cavare. Amede’ dacce ‘na mano. Dobbiamo aggiornare, cambiare. Milone e Mottola li ho conosciuti al Circolo Italia, sul porticciolo di Santa Lucia. Milone e il suo nomignolo. «Picchio, perché ti chiami Picchio?». «E che ne so» ribatte Picchio Milone. Un ragazzone di 1,87 nato casualmente a Milano, ma partenopeo doc, int’’o core, int’’a vela. Mascella tosta, scolpito, come Marlon Brando. Roberto Mottola (1,92) più romantico, un Gary Cooper giovane. Due stra?chi di venti, ventuno anni. Due alberi. Potrebbero da soli armare una barca. Carlo Rolandi, calmo, olimpico, mentre noi abbiamo una gran fretta, le Olivetti da tavolo ansiose, le linotype già sul piede di guerra, la rotativa ruggirà al più presto. Carlo Rolandi mi dice: «Hanno vinto facile, già dalla prima regata, le regate per il titolo mondiale sono sette, hanno già vinto alla quinta, le altre non le hanno neanche fatte, campioni del mondo». Insacco la prima cartella nel rullo della Olivetti. «Carlo, Carlo, continua». «Vento leggero di due, tre metri al secondo. In testa già alla prima boa». Urlano che hanno già fatto il pezzo sul lago Ontario, il più piccolo dei Grandi laghi, al con?ne fra Canada e Stati Uniti, lungo 311 km, largo 86, profondo 244 metri. È arido, arido ‘sto pezzo, in?occhettare, colorire, buttarlo in faccia al lettore, scrivere, emozionare. «Hanno vinto nella classe Tempest. E’ la prima vittoria italiana in un mondiale di vela» mi dice Carlo Rolandi. E che è ‘sto Tempest? Chiamare Dalla Vecchia, chiamare, che cos’è ‘sto Tempest? Pippo con l’insuperabile e inseparabile vena canzonatoria-a?ettuosa: «Guagliò, nun sapite mai niente di niente, tutti ignoranti vui giornaliste, scrivete, scrivete, Tempest è una barca a chiglia». «A chiglia, Pippo?». «E non interrompere. Scrivete. Fuori tutto, è lunga 6,7 metri». «E che è ‘sto fuori tutto?». «Guagliò, mo stacco ‘o telefono. Pesa 480 chili. Lo spinnaker è di 20,90 metri quadri, avete idea? La randa è di 15,24 metri quadri». «Abbiamo idea» mento. «Il genoa 7,69 metri quadri. E il bulbo pesa 240 chili. E sapete che cosa vuole dire?». «Oh, Pippo, vuole dire che pesa». «Straccioni, scansafatiche, vuole dire che la barca non si capovolge mai, può andare fortissima, virare, bolinare e fare tutto. Non si capovolge mai, avete capito, perché ha un bulbo bello e grosso».

Gli uscieri ci strappano a uno a uno i fogli dalle macchine per scrivere imbucandoli più in fretta possibile nei bussolotti che schizzano in tipogra?a per andare dai linotipisti, e Fofò Chianese, piccolo, sfottitore, è il più veloce di tutti a fare di mille parole le più rapide righe di piombo. Bisogna chiudere la pagina in tipogra?a per la prima edizione. Ma la gara, la gara come la mettiamo giù? Cesarino Giglio: «Ve dovete arrangià. I dispacci d’agenzia dal Canada sono poca cosa. Vi posso da’ l’ordine di arrivo. Ricamateci sopra». Sono tempi artigianali, telescriventi, telefoto, i telefonini non sono stati ancora inventati, è tutta un’avventura, non c’è Internet, non c’è Wikipedia, è una bellissima avventura. Andiamo con l’ordine di arrivo. Richiama Pippo Dalla Vecchia: «Avete capito quello che vi ho detto? Capito? Sì, ‘nu cacchio avete capito». Savoldi con?nato in una pagina, una pagina intera però. La vela, la vela. Campioni del mondo. Due napoletani. Come uno scoop. Una pagina intera. Richiama Rolandi: «La barca di Milone e Mottola si chiama Cocker e ha questa sigla I-110». Tutto fa brodo. La sigla, il nome della barca, scrivere, ricamare, emozionare il lettore, e ‘sti due Dioscuri di Partenope, Milone e Mottola, Mottola e Milone. Cazz, e chi guida la barca? Dalla Vecchia: «Come, chi guida? Ma fosse un taxi? Ignoranti, incapaci. Sulla barca ci sono un timoniere e un prodiere. Chi guida? Cos’’e pazz!». Chiamo Paolo Rastrelli col suo Vangelo della vela. «Dalla Vecchia ci ha fatti nuovi nuovi, dimmi come sono messi Milone e Mottola sulla barca». E Paolotto, sera?co, preciso, disponibile, che non fa mai cazziatoni pippeschi, che sono a?ettuosi ma sempre cazziatoni: «Milone è il timoniere e Mottola è il prodiere». Grazie, Paolo. La pagina campione del mondo si va riempiendo. Chiama Dalla Vecchia, inesorabile: «Lo sapete come Mottola comanda la barca? Dove sta, che cosa fa? Prima che scriviate che sta su uno strapuntino, che magari ha un volante in mano, prendete nota, Mottola sta su un trapezio».

Non aggiunge altro lasciandoci nel mistero immaginifico di ‘sto trapezio. Il pezzo sulla gara è da fare con le poche righe di agenzia. Ricamare, in?occhettare, colorare. Scrivere come se fossimo sul posto, sul posto, in un punto decisivo dei 1146 chilometri di costa dell’Ontario, l’Ontario bello, un po’ azzurro, “un po’ mediterranei il clima, il lago, la giornata” ha detto Rolandi, e vai con le condizioni meteo, il lettore deve rabbrividire, portare il lettore sul posto. Lago Ontario, Canada, 15 luglio 1975, la barca italiana col trapezio, il bulbo, il prodiere e il timoniere, tutt a ppost, la barca più bella, questo bisogna scriverlo, i lettori sono un po’ patriottici, un Tempest, stupendo, e la morsa degli avversari, magni? care gli avversari che sono già magni?ci di loro, campioni olimpionici e mondiali, mettere i brividi a chi legge, portare il lettore sul Tempest. La massiccia Olivetti nera da tavolo regge, il carrello va di bolina da destra a sinistra, energicamente, i tasti pestati, a mare mosso, colpi di timone, altro che gara sull’Ontario, la cronaca deve essere viva, avvincente, ‘na messa cantata dicono i vecchi maestri della carta stampata, ‘na messa cantata. Gli avversari dei nostri sono i tedeschi Nebel-Schmidt e Mares-Wehofilsch, i russi Mankin-Dyrdyra, gli svedesi Albrectson-Hansson, i danesi Nielsen-Pedersen. Dove li cerchiamo? Chi ha un manuale della vela olimpica? Questi sono tutti pregiati e titolati, sorpresi dai due guaglioni del porticciolo Santa Lucia, del golfo azzurro, del maestrale sotto Capri. Sono marinai del Mar Baltico, dei mari del Nord. A Milone-Mottola resiste, si fa per dire, la coppia svedese, seconda nella classi?ca ? nale di questo campionato mondiale napoletano, seconda ma molto distaccata. La rotativa gira, la pagina è andata, 15 luglio 1975. ‘Na messa cantata. La sera in cui Cesarino Giglio ci sventolò il dispaccio Associated Press dal Canada per cambiare tutto, Picchio Milone e Roberto Mottola campioni del mondo di vela, classe Tempest. Chiama Pippo Dalla Vecchia, minaccioso: «Guaglio’, domani vi leggo». 
 


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