Storia di una Cina avanti anni luce: ecco perché gli esports sono meravigliosi

Un breve racconto visto da una prospettiva diversa ed estremamente lontana dalla nostra. Gli esports sono aggregazione e divertimento.
Storia di una Cina avanti anni luce: ecco perché gli esports sono meravigliosi
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Quest’oggi abbiamo deciso parlare ai lettori in maniera leggermente diversa, ossia nei termini di una chiacchierata amichevole al bar o di una semplice telefonata tra amici. Riguardo cosa? Esports. Ciò che vi accingete a leggere non sarà affatto il solito sproloquio su quanto tale ambiente sia la pecora nera della società europea (e in particolar modo, italiana), né il solito piagnisteo riguardo l’arretratezza esportiva del nostro continente, di cui, volenti o nolenti, dobbiamo prendere atto. Nulla di tutto ciò: oggi vi raccontiamo di come gli esports siano vissuti in una realtà più che diametralmente opposta rispetto alla nostra, quella cinese, tramite le parole di Lorenzo Di Berardino, un nostro collaboratore che si trova in Cina per studio.


Mi trovo in Asia da qualche tempo ormai, e ho avuto la possibilità di osservare da vicino (e in tutti i suoi aspetti) una società molto particolare, che spesso e volentieri magari suscita qualche sorriso per via di certe “bizzarrie” di cui ci giunge voce, e logicamente ho provato ad addentrarmi il più possibile nel panorama videoludico di questo enorme Paese.

Avevo moltissime domande, ma ho trovato altrettante risposte. Gli esports sono socialmente “accettati” e in qualche modo “riconosciuti”? Come si pone la collettività nei confronti di essi e degli appassionati? Quali infrastrutture hanno a disposizione giocatori stessi, professionisti e non, per coltivare le loro passioni e, perché no, renderle un lavoro vero e proprio? Qual è l’effettiva vastità del fenomeno esportivo in oriente, e qual è la eco effettiva di questa nuova epidemia che ogni anno si espande sempre di più in ogni parte del mondo?

Oggi vi scrivo questa lettera aperta per rendervi partecipi delle risposte (e delle conferme) che ho trovato lontano da casa, e che mi hanno lasciato davvero sbalordito, senza mezzi termini. Come ogni analisi che si rispetti, occorre partire dal principio, chiedendosi se gli esports siano effettivamente diffusi in Cina, e in quali termini.

Già al mio arrivo, mi resi conto che praticamente chiunque stesse camminando per strada, lo faceva tenendo in mano il proprio smartphone e fissandolo senza mai distogliere lo sguardo. Tralasciando la pericolosità del gesto, la domanda che ogni volta mi sorgeva spontanea era: cosa staranno guardando di tanto importante da richiedere tanta attenzione? Così cominciai a buttare uno sguardo su ognuno di quei dispositivi mobili e, con mia grande sorpresa notai che effettivamente si trattava quasi sempre di streaming di videogames, su piattaforme diverse dal nostro Twitch, ma con la stessa funzione di quest’ultimo.

Il primo pensiero, a riprova della diversa concezione di tali pratiche che abbiamo in Europa, andò subito al solito “da noi verrebbero derisi”, ma rendendomi conto di questa involontaria reazione mi fermai e realizzai che, per strada, letteralmente a nessuno importava cosa comparisse su quegli schermi: per quelle persone era la normalità.
Come mai, allora, c’era così tanta differenza tra una “passeggiata” europea e una cinese? Mi convinsi che la risposta doveva risiedere nell’importanza e nella consuetudine di tali contenuti all’interno di quella società: doveva necessariamente esserci qualcosa sotto, o sarebbe stato fin troppo insolito.

Cominciando a calcare i marciapiedi asiatici, notai anche che moltissimi ragazzi sedevano ai lati della strada, nei ristoranti o sui mezzi pubblici e passavano il tempo giocando ai più disparati giochi mobile, dai più semplici ai più complessi come Mobile Legends, e le mie certezze si facevano sempre più vivide: i videogames e gli esports sono perfettamente integrati nella società cinese, in quella che ogni giorno va e torna a casa da lavoro, quella che mangia di fretta in piccoli ristoranti agli angoli delle strade, quella che aspetta l’autobus o la metropolitana per raggiungere i propri amici o chicchessia.

Una volta analizzato l’ambito videoludico a livello privato e individuale, è il caso di discutere di quello collettivo e pubblico: sto parlando dei gaming bar e delle manifestazioni pubbliche riguardanti gli esports, ossia tutti quei luoghi od eventi che rendono possibile godersi in compagnia della sana competizione videoludica a livello professionistico.
All’interno di un campus universitario mi è stato possibile trovare ben 3 sale LAN di dimensioni spropositate, tutte dotate di postazioni computer, PlayStation, Xbox, Nintendo Switch, ecc. di tutto rispetto, e ad ogni ora del giorno e della notte ho potuto trovare qualcuno a giocare o semplicemente a passare del tempo con amici e conoscenti all’interno di queste strutture.

Accedervi da straniero, purtroppo, non è facile, in quanto l’affitto di una postazione gaming è per legge vincolato alla presentazione di un documento di identità cinese valido, o di un permesso di soggiorno che non viene rilasciato a chiunque a causa delle diverse tipologie di visto che le varie ambasciate cinesi sparse per il mondo rilasciano ai richiedenti.

Lo stesso meccanismo vige per gli stessi account dei vari giochi, per i quali c’è bisogno di fornire un numero di telefono cinese valido (e ovviamente associato a un’identità), dal momento che quasi tutte le registrazioni sono collegate al proprio account personale di WeChat, servizio di messaggistica istantanea simile al nostrano Whatsapp che viene utilizzato letteralmente per qualsiasi necessità della vita quotidiana in Cina: dai pagamenti alla prenotazione di taxi, ecc.
Questa “oppressività” del sistema cinese è un chiaro indice di quanto lo Stato stesso si sia reso conto della portata del fenomeno videoludico e della quantità ingente di giocatori e di quanto, proprio per questo motivo, si sia provveduto a regolare un simile panorama in continua crescita ed espansione, al fine di non trovarsi sprovvisti di normative efficaci qualora situazioni poco piacevoli dovessero presentarsi.

Il punto focale di chiacchierata, però, arriva adesso: com’è vissuto a livello pubblico e sociale il fenomeno specifico dell’esport?

Il caso ha voluto che proprio in questi giorni nella lontanissima Europa si stessero disputando i Worlds 2019 di League of Legends, il rinomato campionato mondiale del gioco più giocato al mondo. I due team finalisti provenivano uno dalla Cina e l’altro proprio dall’Europa, e l’esito non è stato dei migliori per il nostro continente.

Per canali trasversi, nel corso del tempo sono entrato in contatto con diversi ragazzi cinesi, tutti giocatori di League of Legends, che si sono sempre dimostrati disponibili e amichevoli nonostante una barriera linguistica di livello tutt’altro che trascurabile. Ciò che, tuttavia, non mi sarei mai aspettato era un invito, da parte di uno di essi, a guardare la Grand Final dei suddetti Worlds 2019 in un cinema-teatro pubblico all’interno del campus universitario in cui mi trovavo. Senza pensarci troppo accettai e mi ritrovai letteralmente in una sala cinematografica piena zeppa di tifosi e appassionati, ma mi resi subito conto di non aver riflettuto attentamente sulla mia scelta: ero l’unico supporter del team europeo presente, e il fatto era piuttosto evidente se consideriamo che ero anche l’unico non-asiatico. Anche solo per scherzo, il paragone con il tifoso della squadra ospite capitato per errore nella curva della squadra di casa si era fatto molto vivido, ma fu proprio a questo punto che restai meravigliato nel vedere tutti i miei vicini di posto avvicinarsi, presentarsi e chiedermi pareri su chi, secondo me, avrebbe vinto il match. Ero passato dall’essere intimorito in quanto circondato da tifosi avversari al fare quattro chiacchiere con nuovi amici nel giro di pochissimi secondi.

Alla fine della partita, che aveva visto i FunPlus Phoenix (team cinese) vincitori, l’esultanza dei supporters accorsi in centinaia ad assistere tutti insieme al match rimarrà per sempre scolpita nella mia mente: perfetti sconosciuti che si abbracciavano e cantavano insieme, gioendo per un traguardo comune appena raggiunto dai propri beniamini, ragazze e ragazzi in lacrime dalla gioia. L’equivalente della reazione di noi italiani alla vittoria della Coppa del Mondo di calcio del 2006.

Nella mia esperienza da esports reporter ho avuto la possibilità di assistere a più di una Grand Final in Italia, e mai ho assistito a una tale espressione di felicità da parte dei tifosi. Certo, non si sarà trattato del campionato mondiale di League of Legends, ma il discorso non cambia al punto da rendere inutile un simile paragone.
Io stesso, nel rendermi conto di ciò, mi ero involontariamente lasciato trasportare, e avevo esultato non tanto per la vittoria della squadra cinesi, bensì per lo splendido ambiente in cui mi ero trovato quella sera: avevo applaudito, nella loro massima espressione, gli esports.

Per tirare brevemente le somme del nostro discorso, l’obiettivo di chi scrive è quello di descrivere, per una volta, un punto di vista diverso, il punto di vista di una società che già da tempo abbraccia tale nuovo, emergente, mondo, e di provare non a criticare (per l’ennesima volta) la visione di fin troppe persone nel nostro continente, quanto a proporre una mentalità diversa, da fondare su una passione comune che non ha niente da invidiare a quella molto più comune per un qualsiasi sport maggiore come il basket o la pallavolo. Gli esports sono aggregazione, sono avere la possibilità di conoscere nuove persone e di instaurare amicizie con loro, sono divertimento in compagnia e non una qualche sottospecie di patologia da estirpare come malerba da un prato fiorito. C’è bisogno di fare quel passo in avanti che, se si amano gli esports, non si può che attendere con ansia.

Servizio a cura di GEC - Giochi Elettronici Competitivi


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