Will Smith: «Non è solo un film sullo sport»

L'attore afroamericano da stasera protagonista in sala con Zona d'ombra la pellicola sul male oscuro del football americano
Will Smith: «Non è solo un film sullo sport»
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Con quasi tre miliardi di dollari guadagnati al botteghino, Will Smith è il 21mo attore che ha incassato di più nella storia del cinema. Ha iniziato con la musica, ovviamente il rap, con il duo Dj Jazzy Jeff and The Fresh Prince. Fu subito un successo che lo portò dai quartieri medio borghesi di Philadelphia al paradiso dorato della California. Messa da parte la musica, si è dato alla televisione con l’idea diventata una sitcom di un ragazzo di colore che, proprio da Philadelphia, si trasferisce dagli zii a Bel Air, Los Angeles, e le sue difficoltà di integrazione nella nuova realtà. Da qui il salto al cinema fu breve e, ormai quasi trent’anni dopo, il suo è un nome che trascina il pubblico in sala e ha iniziato una dinastia di attori: dal matrimonio con Jada Pinkett sono nati Jaden e Willow, entrambi, malgrado la giovane età, già richiestissimi alla Mecca del cinema.


Dalla rinuncia a prendere parte a Independence Day 2 – troppo alto l’ingaggio per il seguito di quello che tutt’ora è il suo film che ha incassato di più – fino alle polemiche per #OscarSoWhite, ovvero il boicottaggio della Notte degli Oscar a causa delle candidature al celebre premio troppo indirizzate verso attori, registi e tecnici di razza bianca, Will Smith torna finalmente nelle sale, facendo quello che gli riesce meglio: recitare e trascinare un progetto cinematografico in cui crede. 

Niente fumettoni, sparatutto o fantascienza, tutti generi che Smith ha dimostrato di dominare – da Wild Wild West, Io sono leggenda, Bad Boys fino ai Men in Black. Come gli è già capitato in passato – con Alì, ad esempio, quando interpretò il più grande sportivo del secolo scorso – in Zona d’ombra (nelle sale dal oggi), Smith interpreta un film ispirato a fatti accaduti e un personaggio realmente esistito, il dottore Bennet Omalu, neuropatologo nigeriano che scoprì la CTE (encefalopatia cronica traumatica), una malattia degenerativa che colpisce il cervello dopo i ripetuti colpi subiti alla testa; la sua scoperta lo mette in rotta di collisione con la NFL, la potente lega americana del football americano, accusata di aver nascosto i dati relativi a questa patologie e non aver fatto abbastanza per tutelare la salute dei propri atleti. Il dottor Omalu iniziò a studiare i casi di alcuni giocatori dei Pittsburgh Steelers morti con sintomi inspiegabili con il loro status di atleti. 

«Sai, ci sono un paio di cose in questo film che a mio avviso sono fortemente rilevanti, alcune delle quali non hanno nulla a che fare con il football americano. Credo ci siano delle idee sulla verità e una delle cose che era davvero interessante era parlare con Bennet a tal proposito, ovvero come si potesse preferire non sapere, nascondendo la testa sotto la sabbia. In questo film, ci sono idee circa la difficoltà e il dolore di dire e sentire ciò che è reale. Concetti che riguardano soprattutto il sogno americano, gli ideali che hanno costruito questo paese». Che impatto ha avuto questo caso? «Essere un immigrato, per il Dr. Omalu gli Stati Uniti erano il sogno americano ed è ironico che sia proprio lui a scoprire come il gioco preferito dagli americani possa letteralmente uccidere i suoi giocatori. Zona d’ombra è un bello specchio dell'America. E poi, alla fine della giornata, spero che le persone possano essere ispirate e trattare con i loro simili, gli amici, gli avversari, i colleghi o i vicini di casa in maniera non aggressiva, ma affrontando le situazioni, quelle piccole e quelle grandi, con gli ideali di verità, l'amore e la famiglia».


Zona d’ombra è un film su una storia di sport come ce ne sono tante altre, di dolore, sacrificio. Nel suo lavoro all’obitorio di Pittsburgh, inizia a scoprire inquietanti analogie nei casi di ex giocatori di football che improvvisamente impazziscono. Inizia a indagare, a studiare, e scopre come le sollecitazioni a carico della testa e del cranio subite dai giocatori causino dei danni permanenti. Da qui Omalu, aiutato da pochi coraggiosi, inizia una battaglia per ristabilire la verità, osteggiato dalla NFL, corporazione che attraverso il rito del football ha costruito un impero mediatico e finanziario. 

«È stato un ruolo pesante da interpretare. Mentre giravamo a Pittsburgh, sul set spesso arrivavano persone che erano state vicine ai giocatori la cui morte ha scatenato il caso, come Webster. E c’era un altro fattore da prendere in considerazione, che mi ha coinvolto in maniera molto personale: io stesso sono un genitore che ha mandato il proprio figlio a giocare a football e come genitore non pensavo che lo sport potesse creargli dei danni. Così mio figlio ha giocato per quattro anni e non è mai stata nemmeno una domanda sui pericoli che ciò comportasse».


Zona d’ombra è il classico film hollyvudiano di un uomo qualunque che si mette di traverso alle grandi corporazioni, un Mr. Smith va a Washington, un prodotto della migliore tradizione cinematografica americana. Perché la forza di una nazione sta anche nel sapersi guardare dentro, nelle sue ferite e i suoi scandali, riconoscendo i propri eroi. E il dotto Omalu e, molto più umilmente, Will Smith di eroi se ne intendono.  


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