Claudio Santamaria: «Jeeg Robot è un sogno che si realizza»

L'attore romano racconta la trasformazione in supereroe nel film Lo chiamavano Jeeg Robot da oggi al cinema, ambientato nella Capitale
Claudio Santamaria: «Jeeg Robot è un sogno che si realizza»

Claudio Santamaria ha già detto molto nella storia del cinema italiano, ha partecipato a quei film che hanno segnato un momento, un punto importante per l’industria cinematografica italiana. Due titoli, forse non i più belli ma senz’altro i più significativi: L’ultimo bacio e Romanzo Criminale. Ormai icona del cinema italiano, Santamaria ha speso il suo nome per un film opera prima che racconta una storia di un supereroe. In Lo chiamavano Jeeg Robot è Enzo, un piccolo criminale che per sfuggire all’arresto cade nel Tevere e ne emerge con una forza sovrumana. Si troverà ad affrontare il destino che lo pone di fronte alla scelta se usare i suoi superpoteri per comprare televisori da 50 pollici o salvare delle vite. 


Claudio, quanto ti sei divertito a lavorare in questo film? 

Devo dire che e stato un grandissimo divertimento, ma anche faticoso. Una fatica piena di soddisfazioni. Ci siamo divertiti molto soprattutto nelle scene con gli stunt in cui eravamo appesi a dei cavi e nelle prove quando venivamo sparati con i carrelli, tirati su da cinghie. Faticoso perché pesavo 20-22 chili in più e mi è capitato di accasciarmi al suolo allo stadio Olimpico mentre giravamo la scena di inseguimento e correvo appresso a Marinelli (Luca, l’interprete del personaggio antagonista di Santamaria, Zingaro, ndi), mi sono procurato uno strappo muscolare nella giornata più costosa del set, mandando tutti nel panico. Sono dovuto correre a fare una ecografia al volo e farmi curare da un fisioterapista.

Quando eri piccolo lo vedevi Jeeg Robot? 

Avoja se lo vedevo. 

Qual era la tua arma preferita? 

Il raggio protonico era l'arma che mi affascinava di più. E anche il doppio maglio perforante. 

Facciamo un gioco: ricordi chi era Flora nel cartone animato? 

Assolutamente no. 

Era il generale prediletto dell'imperatore delle tenebre. E il Mecadon lo ricordi? 

Sì, era il robot del rivale di Hiroshi. 

E ricordi cosa gridava a Hiroshi prima di trasformarsi in Jeeg? 

Ricordo perfettamente: Hiroshi lanciava la sua moto nel vuoto - e io mi chiedevo sempre che cazzo di fine facesse quella moto. Si lanciava, univa le mani e lanciava un grido tipo “Jeeg robot d’acciaio”, si girava su se stesso, diventava una testa diceva “Miwa, lanciami i componenti”. 

Perché hai scelto di partecipare a questo film?

Questo è un genere nuovo per il cinema italiano. È difficile che si facciano film sui supereroi. È uno dei miei sogni che si realizza. Erano anni che mi domandavo “Se il meteorite di Superman fosse caduto al Tufello? E se Spiderman fosse romano?” Si sarebbe incastrato nei fili del tram invece di volare tra i palazzi libero e bello come fa a New York tra i grattacieli. Pensa che bello… oppure pensa agli zombi: li vediamo in America, ma se c’è stata un’epidemia, saranno anche in Italia. Se ci sono gli X-Men che sono dei mutanti, saranno in tutto il mondo e ci saranno anche quelli italiani. Io ho sempre avuto una passione per i supereroi e ho pensato che sarebbe stato bello fare un film del genere in Italia. Quando ho letto la sceneggiatura mi sono esaltato come un bambino, ho chiamato subito Gabriele (Mainetti, il regista, ndi) e gli ho detto che questo film sarebbe stato una bomba. Conosco Gabriele da 20 anni, ho visto tutti i suoi lavori, abbiamo lavorato insieme a teatro e sapevo che non avrebbe mai fatto una boiata. Ero straesaltato e oggi sono orgoglioso di aver fatto l'ennesimo cult movie che rimarrà impresso nella storia del cinema italiano. Sarà uno spartiacque, ci sarà un prima e un dopo. 

Roma è bellissima nella fotografia metallica di Lo chiamavano Jeeg Robot e la maggior parte della storia si svolge in periferia. Secondo te come ha reso Roma Mainetti? 

Roma esce bellissima. Chiaramente abbiamo girato molto in periferia, in una Roma attanagliata da attentati, bombe e tanto altro, una periferia raccontata in maniera limpida, senza dare un giudizio, senza musiche tristi, senza rappresentarla brutta. Tor bella monaca è sicuramente un quartiere dove tutto è più duro, è un quartiere che ha vizi, ma può avere i suoi estremi momenti di verità e bellezza, come le speranze della gente. Mentre giravamo lì, abbiamo avuto esperienze a volte anche spaesanti, ma anche un contatto con quei romani capaci di relazionarsi a te in maniera schietta. Quello è stato bellissimo ed è così che resta nel film. 

Con la tua enorme esperienza hai dato dei consigli a Mainetti? 

Gabriele è molto molto preparato, ma una cosa che ho consigliato, soprattutto grazie alla mia esperienza in James Bond, è stato di preparare molto bene le scene di lotta, perché non si possono improvvisare, vanno coreografate come una danza in cui io e Luca sappiamo tutti i movimenti al millimetro perché altrimenti ci facciamo male. Solo per la sequenza che ho interpretato in James Bond, quella all'interno del camion, abbiamo fatto prove per 15 giorni, due ore mezza al giorno. Così è stato per Lo chiamavano Jeeg Robot, ma se non avessimo fatto le prove avremmo perso più tempo. In questo sono stato molto insistente e Gabriele mi ha ascoltato ed è andata molto bene. 

Come ti sei trovato con il regista alla sua opera prima in un film tanto ambizioso? 

Con Gabriele Mainetti mi sono trovato benissimo. Abbiamo fatto un gran lavoro durante le prove, anche nei provini, voleva capire se io potevo essere giusto per il ruolo e dopo due o tre provini mi ha scelto e abbiamo iniziato un percorso per avvicinarci al personaggio. Fisicamente, emotivamente e anche nel modo di parlare, di muoversi, di ragionare e di relazionarsi agli altri, perché il mio Enzo non è qualcuno che ti dice “per favore potresti uscire” ma ti dice “vattene”. Ragiona in modo diverso, non ha quel filtro borghese di relazione, ma ci siamo arrivati piano piano. 

Se tu fossi Jeeg Robot, quale sarebbe la prima cosa che faresti?

Entrerei a Montecitorio. Domanderei subito: chi sono i corrotti? Chi sono gli indagati? Fuori tutti. Via tutti, vi porto su un'isola. 

Come la vedi la nuova Roma di Spalletti?

Non sono un esperto di calcio, vorrei tanto esserlo ma non lo sono. Ho una famiglia molto molto romanista, mio padre e mio fratello mi hanno fatto due palle così fin da quando ero bambino. Da qualche anno ho ricominciato a guardare le partite e ho riscoperto il calcio, è veramente è uno sport molto bello, mi piace guardarlo ma non sono un esperto. Sto guardando più spesso la Roma. Anche l’ultima l’ho vista. 

La Roma ha vinto, allora hai portato fortuna!

Se fossi così potente sarei Obiwan Kenobi e sarei miliardario, avere il potere di cambiare il corso di una partita… Pensa che bello.


© RIPRODUZIONE RISERVATA