Utopie e sentimenti ne “L’isola degli schiavi”

Sul palco del Piccolo Eliseo, da stasera fino al 9 aprile, una commedia scritta quasi trecento anni fa ma profondamente attuale
Utopie e sentimenti ne “L’isola degli schiavi”

Correva l’anno 1725. Pierre de Marivaux scrisse per i Comici Italiani di Parigi un testo lungimirante e acuto, soprattutto per uno che alla Rivoluzione Francese, avvenuta sul finire del secolo, nemmeno ci pensava. Filo rosso della commedia è qualcosa a cui tutti aspiriamo, una «semplice utopia umana: la possibilità di riabilitarsi».

Lo spettacolo “L’isola degli schiavi”, con traduzione e adattamento di Ferdinando Ceriani (anche regista) e Tommaso Mattei, sarà in scena al Piccolo Eliseo da stasera fino al 9 aprile. La storia narra le vicende di quattro personaggi – due nobili e i loro rispettivi servitori – che, dopo un naufragio, si ritrovano sulla spiaggia di un’isola in cui vige una singolare repubblica: servi e padroni si sono scambiati i ruoli così i primi possono vendicarsi dei torti subiti, mentre i secondi provano sulla pelle le fatiche della schiavitù. Colui che ha dato il via a questa nuova forma di governo, Trivellino (interpretato da Carlo Ragone), dirige – proprio come farebbe un registra teatrale – i quattro ospiti (Giovanni Anzaldo, Ippolita Baldini, Carla Ferraro e Stefano Fresi), inserendoli in una sorta di gioco onirico e di capovolgimento delle parti, a tal punto da far sbiadire le maschere della commedia dell’arte e farle trasformare in personaggi in carne e ossa. 

La morale della vicenda auspica un dialogo tra le fazioni, servi e padroni messi a confronto al fine di comprendersi, di acquisire consapevolezza del fatto che ogni animo è collegato all’altro e di poter rimediare ai propri errori. Come sottolinea il regista Ferdinando Ceriani, L’isola degli schiavi è «un grande gioco teatrale in cui il teatro svela allo spettatore le sue enormi potenzialità espressive e comiche» e dove si descrive «l'ingegneria dei sentimenti». 


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