La passione di Carmelo Bene per il calcio e il romanzo di Ronnie Peterson

Da Van Basten a Romario, da Carl Lewis all'Italia dell'82: Carmelo Bene e il calcio, in una conversazione di vent'anni fa con Enrico Ghezzi. E poi la breve vita di Ronnie Peterson, protagonista nella Formula 1 degli Anni Settanta.
La passione di Carmelo Bene per il calcio e il romanzo di Ronnie Peterson
Massimo Grilli
4 min

Piaceva il calcio, a Carmelo Bene, e molto. «Andavo allo stadio perché mi interessavo di calcio. Dallo scudetto della Roma fino agli anni ottanta. Lì soltanto hai la visione del fuorigioco, se una squadra è lunga o corta, se è un 4-4-2 o un 4-5-1. La televisione segue la palla, invece. Tu della partita non vedi assolutamente niente». Al grande drammaturgo (e attore, scrittore, poeta, regista…) piaceva talmente tanto da prestarsi volentieri a scriverne ma anche a parlarne, come dimostra questa conversazione - avvenuta in un pomeriggio di fine marzo del 1998, troviamo scritto - con Enrico Ghezzi, esperto di cinema e deus ex machina di “Fuori Orario”, la trasmissione cult di Rai3. Un piccolo gioiello, dove il grande autore pugliese, scomparso nel 2002, e il critico di cinema e televisione si rimpallano la sfera della propria cultura (anche e soprattutto calcistica, eccome) come fosse un allenamento, alla ricerca del campione che andasse oltre la semplice qualità della giocata. Bene si esalta a parlare di Romario («è il più grande perché è capace di una cosa, del quid che più conta: l’immediato, è capace dell’immediato… Fa gol micidiali, ne scarta quattro con la palla calamitata al piede e poi la mette nei posti più giusti, più impensati. E’ ghiaccio rovente…») Ghezzi risponde con Ferrante («libero alla viva il parroco»), Merlo, Chiarugi, De Sisti, chiara nostalgia della Fiorentina che fu; Bene lo rimbecca con Van Basten («uno dei due, tre, più grandi di ogni tempo») e Tardelli («era un giocatore che ti lasciava sbalordito, inseguiva atleticamente l’impossibilità di essere ovunque»), Ghezzi prova a inserire nel discorso Maradona, senza grande successo («Il suo virtuosismo mi secca, non è tra i primi cinque in assoluto», la risposta piccata di Bene). E poi il discorso si allarga, si passa con disinvoltura da Edberg a Warhol, dall’Italia dell’82 (che bene mal sopportava) a Theodore Dreyer, da Hermann Maier a Carpenter, dal volo di Carl Lewis alle poesie di Poe. Lo sport come la Grande Rappresentazione, l’unica forse che ci è rimasta: «Perché io l’emozione me la devo cercare nel Brasile, oppure nel rugby neozelandese, oppure in Jordan, non so, nella NBA, negli Edberg del tennis, ma non posso andare a cercarmela in una sala teatrale…». Assolutamente imperdibile.
DISCORSO SU DUE PIEDI (di calcio…), di Carmelo Bene ed Enrico Ghezzi; La Nave di Teseo, 156 pagine, 11 euro.

(Furio Zara) Diego Alverà sa raccontare una storia. Lo sa fare calibrando la narrazione dei fatti, la descrizione di un attimo (come da famosa canzone dei «Tiromancino») e l’emozione che vibra quando - parliamo di vicende sportive - il gesto dell’atleta rivela qualcosa di noi. In questo libro Alverà racconta vita e opere di Ronnie Peterson, pilota-mito, poster generazionale di una Formula 1 che negli anni ’70 vive il suo momento d’oro, anni selvaggi e irripetibili. Siamo a Monza, nel 1978. Siamo dentro l’abitacolo della Lotus nera e oro (ma quanto bella era quella monoposto?), siamo all’inizio di una corsa e di una storia. Ronnie rivive la sua vita, se la fa scorrere davanti agli occhi, in un’attesa che condividiamo - noi lettori - con lui, mentre tutto deve ancora accadere. Di Peterson sappiamo tutto, ma non sappiamo nulla. Il campione svedese morì a Milano l'11 settembre del 1978 in seguito alle ferite riportate il giorno prima alla partenza del GP d'Italia a Monza, sì, proprio quel GP. Aveva 34 anni. Alverà ci conduce dentro un luogo intimo, dentro i pensieri che si agitano nella testa di un uomo che prima di partire verso l’ignoto (ogni corsa di F1 a quei tempi era una scommessa, un tiro di dadi, un azzardo concordato con il destino) si guarda allo specchio senza infingimenti. Tra premonizioni e frammenti di memoria, tra piccoli momenti si consuma la storia di un pilota che è stato due volte vice-campione del mondo (1971, 1978) e che - nella memoria collettiva degli appassionati - ha lasciato una traccia profonda. ?
RONNIE PETERSON, quell’ultimo rettilineo; di Diego Alverà, Giorgio Nada Editore, 235 pagine, 20 euro.


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