Due romanzi con il calcio come protagonista e quel Genoa che vinse a Wembley

Due romanzi con la Roma e il Napoli a fare da sfondo e da protagonisti e il racconto della vittoria del Genoa nel torneo Anglo-Italiano
Due romanzi con il calcio come protagonista e quel Genoa che vinse a Wembley
Massimo Grilli
6 min

«La prima cosa che ho amato, come l’ultima, d’altronde, è la mia squadra di calcio del cuore. Il suo nome è A.S. Roma». Il segno di una passione totalizzante, sconfinata, una riflessione arguta sull’amore e sulle sue conseguenze. E poi, naturalmente, Roma e la Roma, oggetto del desiderio del piccolo protagonista, non sappiamo quanto simile in realtà all’autore, cameriere in una osteria romana (e laureato in filosofia). Una educazione sentimentale in salsa giallorossa, nata e sviluppata in periferia, con un bambino che anche grazie a quella squadra e a quei colori comincia a capire cosa è il vero amore, a sperimentarne le virtù e i tormenti, con l’aiuto di uno straordinario contorno di parenti, «gente che non si tiene niente nel cuore», chiassosi e dignitosi nell’essere “noantri”, una famiglia (molto) allargata. Bonvissuto lavora per sottrazione (i nomi dei campioni non vengono mai nominati, nemmeno di quello col numero 5 sulla maglia, arrivato dal Brasile per tramutare in realtà quella parola con la lettera S che era assolutamente vietato pronunciare, anche perché “«un romanista vive tranquillo solo dopo morto», diceva nonno, «forse», aggiungeva sempre qualcuno”) e ci accompagna con grazia e gran divertimento nel seguire la maturazione del protagonista e dell’oggetto del suo amore, dalla Rometta degli Anni Settanta - costantemente piazzata nella parte di destra della classifica - fino ad arrivare al giorno della finale di Coppa dei Campioni (e chissà cosa avrà pensato, il protagonista, della rinuncia del Divino Falcao a battere uno dei calci di rigore di quella notte maledetta). E poi la magia della prima bandiera fatta in casa, le partite “viste” alla radio, i panini con la frittata preparati per lo stadio, l’odore dei mandarini nelle trasferte, il tappeto di ombrelli nelle domeniche di pioggia, in un Olimpico ancora senza copertura. Chi ha vissuto tutto questo, apprezzerà ancora di più questo libro, davvero particolare e originale come pochi.
C’è il calcio come sfondo anche nella vicenda di Ugo, protagonista del bel romanzo di Capecelatro. Che parte proprio con il nome di un calciatore, quello di Bertucco, mediano di sostanza più che di qualità nel Napoli di fine Anni Cinquanta, quello di Vinicio e del presidente Lauro (tra l’altro, Bertucco ci ha lasciati a 82 anni il 30 gennaio scorso, poco dopo l’uscita del libro), che rimbomba nella testa del protagonista, senza che lui ne capisca, almeno all’inizio, il motivo. E’ una interessante e lunga riflessione sul senso dell’esistenza, sul valore dei ricordi e sui consuntivi che inevitabilmente vengono messi in cantiere, mentre la relazione che nasce tra Ugo e La Ragazza del Tempo, una giovane che ripara orologi d’epoca, evoca chiaramente il tempo che passa fin troppo velocemente per ognuno di noi. Parallelamente, il protagonista viaggia progressivamente con la memoria verso quella domenica del 20 aprile del 1958, quando allo stadio Collana al Vomero, con il pubblico letteralmente assiepato a bordo campo, il Napoli battè per 4 a 3 la grande Juventus di Charles e Sivori, con il gol decisivo messo a segno - a due minuti dal fischio finale di Concetto Lo Bello - proprio da Bertucco, con un gran tiro da fuori area. E così i capitoli dedicati alle vicende di Ugo vengono intervallati con ritratti e interviste (alcune autentiche) ai giocatori di quella partita diventata leggenda, finché il protagonista non ricorderà finalmente perché quella domenica e quel Napoli-Juve di cinquant’anni prima avevano finito per segnare indelebilmente la sua esistenza, a lui che aveva appena dieci anni. Perché arriva sempre il tempo di dover fare i conti con i ricordi più amari di una vita.
LA GIOIA FA PARECCHIO RUMORE, di Sandro Bonvissuto; Einaudi Editore, 192 pagine, 18.50 euro.
UNA DOMENICA D’APRILE, di Giuliano Capecelatro; Ianieri Edizioni, 301 pagine, 16 euro.

«Per noi genoani, gli unici festeggiamenti sono legati alle promozioni e alle salvezze. Quindi l’Anglo-Italiano assume una valenza importante». Così Francesco Baccini chiude la sua prefazione, una autentica “ballata rossoblù”. In effetti, nelle vicende moderne dei rossoblù il trionfo ottenuto nel 1996 nel torneo che vedeva la partecipazione di formazioni italiane e inglesi (vinto in passato anche dalla Roma e dal Newcastle, tra le altre) occupa un posto di rilievo, se non altro perché ottenuto sul prato magico di Wembley, un facile 5-2 al Port-Vale, formazione di terza divisione. Una partita importante anche statisticamente, quella. Perché fu l’ultima dell’Anglo-Italiano - che trovava ormai da anni con difficoltà una collocazione onorevole nel calendario internazionale - e soprattutto l’ultima a giocarsi nel “vecchio” tempio del calcio mondiale. Un motivo in più per fare bella figura, cosa che quel Genoa, allenato da Salvemini (il presidente era Spinelli) e con in campo gente del calibro di Galante, Nicola (sì, proprio l’attuale allenatore dei Grifoni), Van’t Schip, Ruotolo, Torrente, Montella, Nappi, fece alla grande, vincendo nettamente grazie ai gol di Ruotolo (3), Galante e Montella. Questo bel libretto, ricco di foto e ritagli dai giornali del tempo, ripercorre appunto la cavalcata vincente di quel Genoa, che era appena retrocesso in serie B dopo un terribile spareggio con il Padova, perso ai calci di rigore. Le cronache, i tabellini, le interviste ai protagonisti di quel torneo vinto, che fu l’unica grande soddisfazione di una stagione tra i cadetti abbastanza modesta. Per tornare in serie A, bisognerà aspettare altri dieci anni, sotto la presidenza Preziosi. Ma questa è un’altra storia.
NOI CHE VINCEMMO A WEMBLEY, il racconto del successo del Genoa al torneo Anglo-Italiano nel tempio del calcio; di Roberto Sabatino, Edizioni Sportmedia, 130 pagine, 15 euro.


© RIPRODUZIONE RISERVATA