Le biografie di Van Basten e Hubner, e il calcio in Germania al tempo della DDR

Van Basten e Hubner, il Cigno e il Bisonte; attaccanti lontanissimi ma uniti dalla stessa voglia di fare gol; e poi la Guerra Fredda del calcio al tempo della Divisione tra Germania Est e Ovest
Le biografie di Van Basten e Hubner, e il calcio in Germania al tempo della DDR
Massimo Grilli
5 min

Due autobiografie, due cannonieri apparentemente lontanissimi: uno baciato dalla grazia, leggiadro e potente, autore di uno dei gol più famosi nella storia del calcio, costretto però a lasciare il pallone a soli 28 anni per colpa di una caviglia martoriata dai troppi interventi chirurgici. L’altro, il principe dei cannonieri di provincia, tutta fatica e gavetta, in grado di vincere la classifica dei cannonieri in serie A, in B e in C1, e di divertirsi a giocare fino oltre i 40 anni. Il Cigno di Utrecht e l’ingobbito Tatanka, Van Basten e Hubner. Due che avevano il gol nel sangue, ma che non riuscirono mai a incontrarsi, perché quando Van Basten vinceva tutto con il Milan, Hubner faticava ancora tra C e B.
«Due anni fa ero un calciatore professionista, il migliore del mondo. E adesso cammino carponi sulle mattonelle con un male tremendo e il fegato a pezzi a causa delle medicine». Comincia così, il libro di Van Basten, duro e sincero come poche altre opere firmate da campioni dello sport. Dagli inizi ad Amsterdam e al primo contatto con Sua Maestà Cruyff ai complimenti di Maradona dopo un gol segnato in rovesciata, dalle parole molto dure nei confronti di Sacchi («non era rivoluzionario né offensivo, era la difesa che ci faceva vincere le partite») allo scudetto del 1987, che sarebbe stato “rubato” al Milan dal Napoli, dal calvario delle sue condizioni fisiche allo straziante saluto davanti ai “suoi” tifosi allo stadio Meazza. E poi il gol alla Russia, il sodalizio con Gullit e Rijkaard, Berlusconi e l’Olanda, e quell’insopprimibile spinta a primeggiare, ad essere sempre il più forte. A differenza di Van Basten, Hubner riesce ancora a giocare (ma in porta!) con una squadra Amatori nel calcio a 7. «Sono la stessa persona che ero a vent’anni, quando calcavo i campi di Prima Categoria e vedevo la serie A col binocolo. Ho sempre trattato il calcio con serenità d’animo». Il viaggio di Tatanka comincia da quel pomeriggio al Meazza: era il 31 agosto del 1997, si giocava Inter-Brescia e sessantamila nerazzurri erano accorsi per la prima partita in campionato di Ronaldo. Il Fenomeno restò a secco, chi invece debuttò in serie A, a 30 anni, con un gol - uno splendido sinistro all’incrocio dei pali dopo un lancio di un certo Pirlo - fu il nuovo cannoniere del Brescia di Mazzone. Si riparte poi dalla sua infanzia (a Muggia, alle porte di Trieste) e le partite infinite in piazza; il lavoro in officina come fabbro, le prime squadrette in provincia, il salto in Interregionale alla Pievigina, e da lì sempre più su, Pergocrema, Fano, Cesena, Brescia, Piacenza, Ancona, Perugia, Mantova… Arricchita da una tournée estiva giocata con la maglia del Milan, con qualche immancabile rimpianto («non essere mai riuscito a indossare la maglia della Nazionale, era il mio sogno»), è stata una bellissima carriera. «Se mi guardo indietro, mi accorgo di aver fatto tutto ciò che volevo, nel modo in cui volevo… “Certe volte dovrei fare come Dario Hubner”, canta Calcutta: non so se qualcuno dovrebbe fare proprio come me, non sono nessuno per dirlo. Di certo tutti possono farcela: è capitato a me e può accadere a chiunque. Parola del Bisonte di Muggia, parola di Tatanka».
FRAGILE, la mia storia; di Marco Van Basten, Mondadori Editore, 345 pagine, 20 euro.
MI CHIAMAVANO TATANKA, io, il Re Operaio dei bomber di provincia; di Dario Hubner con Tiziano Marino; Baldini+Castoldi Editore, 198 pagine, 17 euro.

«E tu dov’eri, quella sera d’estate del 1974?». Era la domanda ricorrente che i tedeschi dell’Est si scambiavano a fine Anni Settanta, ricordando quella magica notte del Mondiale di 46 anni fa, quando ad Amburgo la Germania Est superò i cugini ricchi dell’Ovest grazie a un gol di Jurgen Sparwasser, il cui nome fu direttamente consegnato alla storia (salvo poi, nel 1988, un anno prima quindi della caduta del Muro, lasciare tutto e sposare la causa dell’Occidente). Di questo, e di tante altre vicende della Guerra Fredda del Football, parla Vincenzo Paliotto in questo bel libro, frutto di una impegnativa e accurata ricerca storica. Nel lungo braccio di ferro sportivo tra DDR e Germania Ovest, il calcio occupò uno spazio importante, anche se inferiore ad altre discipline (come Atletica Leggera e Nuoto) che assicuravano una bella dote di medaglie d’oro alle Olimpiadi. Paliotto ci parla qui delle imprese delle squadre dell’Est, dalla nazionale Olimpica che fu la prima squadra a battere quella dell’Ovest (successe nel 1972, e proprio in casa loro, a Monaco) al Magdeburgo vincitore della Coppa delle Coppe del 1974 (2-0 al Milan in finale), dal Karl Zeiss Jena, protagonista di una clamorosa rimonta - ancora in Coppa delle Coppe - ai danni della Roma (0-3 all’Olimpico ribaltato dal 4-0 del ritorno, con contorno di accuse di doping, mai provate) alla Dynamo Dresda, che fu a un passo dall’eliminare in Coppa dei Campioni il Bayern Monaco, poi vincitore del trofeo per la prima volta. E poi la temuta Dynamo Berlino, la squadra della Stasi (la terribile polizia segreta della Germania Est), la vittoria nel ’91 dell’Hansa Rostock sul Barcellona (l’ultima importante per un club dell’Est), le vicende di Sammer - campione nelle due Germania - e Souleymane (il Pelè della DDR), gli incidenti tra tifosi… Una chicca per gli appassionati di calcio internazionale.
DDR, la guerra fredda del football; di Vincenzo Paliotto, Urbone Publishing, 133 pagine, 12 euro.


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