La storia di Vinicio e le "regole" di Michael Jordan

Carriera e gol del leone di Belo Horizonte, in arte Vinicio; e poi il romanzo della prima stagione vittoriosa dei Chicago Bulls di Jordan
La storia di Vinicio e le "regole" di Michael Jordan
Massimo Grilli
5 min

Diciassette secondi. Per segnare il suo primo gol in Italia, in un Napoli-Torino 2-2 del 18 settembre 1955, al ventitreenne Luis Vinicius de Menezes, qui da noi subito rinominato Vinicio, servirono 17 secondi, il tempo di controllare la palla servitagli dal compagno Granata e di spedirla alle spalle dell’incolpevole - si diceva così a quei tempi - portiere Rigamonti. Un grande inizio per un grande bomber, classe 1932, che qui si racconta a un “ragazzo con il taccuino”, come umilmente si definisce Paquito Catanzaro, bravo scrittore napoletano. Dall’infanzia in una famiglia borghese di Belo Horizonte, nello stato di Minas Gerais, ai primi calci in squadre dai nomi fiabeschi come Aventureiros e Metalusina, fino all’approdo a 19 anni al Botafogo, dove fece parte di uno straordinario terzetto d’attacco insieme agli amici Da Costa e Garrincha, per poi approdare a Napoli, appunto nel 1955, voluto dal presidente Lauro per affiancarlo a Jeppson, detto ‘o Banco ‘e Napule per la sua esagerata valutazione, 105 milioni di lire. Dall’Italia Vinicio non è più andato via: cinque anni a Napoli - in una città che gli è rimasta nel cuore tanto da decidere di stabilircisi definitivamente - poi Bologna, Vicenza e Inter, esperienze impreziosite da una Mitropa Cup con il Bologna e da un titolo di capocannoniere della serie A, nel 1966 con il Lanerossi. Anche da allenatore, Vinicio lasciò il segno, soprattutto ancora a Napoli, con il suo “gioco totale” all’olandese, con tanto di scudetto sfiorato nella stagione 1974/75, quella del celebre gol - nella sfida decisiva con la Juventus - di un ex come Altafini. Impreziosito dalle foto inedite fornite proprio dalla famiglia De Menezes, il libro è ricco di aneddoti - da Vinicio che tenta di insegnare a scrivere a Garrincha, al cattivo rapporto con il Mago Herrera - e racconti di calcio. Ne viene fuori un ritratto di un grande calciatore e soprattutto di una persona per bene, benvoluto in tutte le squadre dove ha lavorato, come ricordano gli ex calciatori o addetti ai lavori intervistati dall’autore, da Bruscolotti a Mimmo Carratelli, da Carnevale a Wilson. E valga, come giudizio complessivo, quello di Tarcisio Burgnich, uno degli eroi della grande Inter e di Messico ’70. «Non mi sono mai divertito così tanto come nella stagione del Napoli di Vinicio. Professionalmente un autentico maestro, ma sono senza dubbio le sue doti umane ad avermi colpito maggiormente».
LUIS VINICIO, il Leone di Belo Horizonte; a cura di Paquito Catanzaro, edizioni Homo Scrivens, 200 pagine, 15 euro.

«Ho viaggiato con la squadra, ho visto praticamente tutte le loro partite, ho trascorso ore in spogliatoio prima e dopo le partite, conversando con giocatori e allenatori. Questo libro è il prodotto di centinaia di ore di interviste realizzate insieme a gran parte dei protagonisti». Sam Smith - a lui Michael Jordan si lasciò sfuggire una delle sue frasi più famose, “anche i Repubblicani comprano scarpe”, per giustificare la mancata adesione alle tematiche del Partito democratico - è stato a lungo cronista per il “Chicago Tribune” e quindi spettatore privilegiato della prima storica stagione vincente dei Bulls, che riuscirono trent’anni fa a infrangere il dominio dei Bad Boys della NBA, quei Detroit Pistons che li avevano battuti nelle finali per tre anni consecutivi. Rivista dall’autore dopo il clamore suscitato dal successo della docufiction “The last dance”, è la cronaca sincera e palpitante di una stagione straordinaria, cominciata con l’arrivo in panchina del grande Phil Jackson e chiusa con le lacrime di Michael Jordan, trasformatosi da perdente di successo a protagonista finalmente vincente. E’ anche il racconto dell’epopea di uno sport che stava per diventare quel fenomeno planetario che è adesso, un basket ricco di campioni come di “trash talking”, di scontri più o meno illegali sotto canestro e di litigate negli spogliatoi. E’ soprattutto il ritratto senza filtri di Jordan, il più grande di tutti i tempi, del suo inarrivabile spirito competitivo, ma anche delle sue sfuriate contro Jackson o il general manager Krause e del suo rifiuto di passare la palla nei minuti decisivi delle partite che contavano. Un campione ossessionato dalla ricerca della vittoria, che ha finito per trascinare verso il trionfo tutti i suoi compagni. «Michael dominava gli avversari con la sua personalità, prima ancora che con il gioco, poteva essere difficile ed esigente, feriva i sentimenti delle persone. Mettiamo però da parte ogni ipocrisia. Fare parte di una squadra, di una famiglia, vuol dire anche questo. Non è il classico ritratto di famiglia alla Norman Rockwell. Quella è solo una finzione, non è la vita vera». Insomma, se volevi vincere dovevi seguire le Jordan Rules.
THE JORDAN RULES, Michael Jordan e i Chicago Bulls 1991: la leggenda del primo titolo e della nascita di un mito; di Sam Smith, Baldini+Castoldi editori, 608 pagine, 26 euro.


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