L'autobiografia di Franco Baresi e gli intrecci tra calcio e geopolitica

Da Travagliato a Pasadena, trionfi (e lacrime) di Franco Baresi; e poi il Mondiale in Qatar, la spinta della Cina, le proprietà estere: come e perché tanti Paesi utilizzano il calcio per i loro scopi
L'autobiografia di Franco Baresi e gli intrecci tra calcio e geopolitica
Massimo Grilli
5 min

«Mi ritrovo in mezzo al campo, sopraffatto dalle emozioni. Mi terrei tutto dentro, come ho sempre fatto. Ma non mi trattengo. E comincio a piangere. Sacchi mi abbraccia. Tenta di consolarmi e io mi lascio andare. A trentaquattro anni piango ogni lacrima che ho in corpo davanti al mondo intero. Piango per aver perso la finale, piango per la fatica delle ultime settimane, per il rigore fallito, per la mia squadra, per il mio paese, per il sogno infranto di quel bambino che giocava scalzo nell’aia. Piango libero, perché non temo più di sembrare debole». Ruota tutto attorno alla finale del Mondiale americano del 1994 - persa contro il Brasile - e a quel maledetto calcio di rigore sbagliato, questa bella e sincera autobiografia di Franco Baresi, uno tra i più grandi difensori del nostro calcio, vincitore di tutto con il super Milan di Sacchi e Berlusconi. Introdotto capitolo dopo capitolo dal lungo avvicinarsi a quel fatale dischetto, è il racconto particolare di un ragazzo degli Anni Sessanta nato in una cascina del bresciano («La felicità io l’ho conosciuta, come quando facevo il bagno nei fossi inondati per l’irrigazione che circondavano i campi, con i piedi nell’erba umida e il viso immerso nell’acqua cristallina»), riuscito, grazie alle sue doti tecniche ma anche alla sua costanza e alla sua serietà, a diventare un protagonista del calcio mondiale. E’ il ritratto di un’altra italia, ancora molto contadina («si discuteva su chi doveva accompagnarmi per la prima volta a Milanello. Alla fine, oltre a mio padre, venne mio zio Francesco perché, grazie al suo lavoro da commerciante, era abituato a viaggiare in auto…») e di un altro calcio, con i suoi protagonisti immortali (le battute di Rocco, il carisma di Rivera, che Franco osservava in silenzio durante i pranzi, il tifo in bianco e nero di San Siro), un lungo percorso vissuto quasi in parallelo con il fratello Giuseppe, di due anni più grande, lui tra i leader dell’Inter, per un clamoroso derby in famiglia. Ma questo libro è anche la storia del Milan degli Imbattibili, dall’elicottero di Berlusconi agli allenamenti crudeli di Sacchi, fino alla straordinaria serata con il Real Madrid - travolto 5-0 - in una serata indimenticabile per il nostro calcio. «In quella gara fui in totale controllo, una sensazione meravigliosa proprio perché figlia di sacrifici e visioni rivoluzionarie. Ero un “libero” liberato. Ogni respiro, ogni sguardo, ogni movimento, era teso alla bellezza». Una splendida carriera, da Travagliato a Pasadena, vissuta sempre a testa alta. «Forse qualcosa cambia, tra i campetti improvvisati di campagna e i migliori stadi del mondo, ma io sono sempre rimasto lo stesso. Io sono Franco Baresi. E sono nato così, libero».
LIBERO DI SOGNARE, di Franco Baresi; Feltrinelli editore, 120 pagine, 15 euro


Il recente acquisto del Newcastle, storica società inglese (fondata nel 1892), da parte di un consorzio guidato dal Public Investment Fund, fondo sovrano dell’Arabia Saudita, con il suo carico di polemiche e perplessità legato alla tutela dei diritti umani in quel Paese arabo (di cui Amnesty International ha denunciato più volte le violazioni) ha rilanciato il discorso del rapporto del mondo del calcio con le relazioni internazionali e la politica mondiale. Proprio di questo intreccio spesso perverso si occupa il libro - molto interessante e molto dettagliato nelle ricostruzioni e nelle fonti utilizzate - scritto da Pallarés-Domenéch, Postiglione e Mancini, trio ben combinato, formato da giornalisti e analisti politici. Si parte dall’assunto che il calcio sia - da sempre, basti pensare all’uso che il fascismo fece del Mondiale italiano del 1934 - un attore geopolitico fondamentale, un modo attraverso il quale gli Stati inseguono l’obiettivo di proiettare all’esterno ideologie, potenza e valori. Un “potere dolce”, quello del pallone, per attrarre, convincere, persuadere. Ecco quindi l’importanza per il Qatar di organizzare il Mondiale del 2022, l’uso spregiudicato del calcio da parte della Cina, con il progetto 2016-2050 (“realizzare 20 mila scuola calcio, puntare ad avere 30 milioni di praticanti tra gli alunni e 50 tra tutta la popolazione, costruire 70 mila campi da calcio in tutto il Paese, portare la Cina al livello delle altre super potenze nel gioco del calcio”) che sembra già naufragato, la mediatizzazione forse eccessiva del fenomeno calcio. «La geografia del calcio - scrivono gli autori - si disegna anche a partire da gasdotti, fonti energetiche, accessi al mare, esprimendo identità e narrazioni che mobilitano le masse». E poi tutto quello che ruota attorno al mondo del pallone, dal giro d’affari sempre crescente alle fratture sociali, dallo scandalo della Fifa al Narco-futbol della Colombia. E quindi i tifosi, i diritti Tv, il racconto di un campione come Maradona e l’uso che ne è stato fatto, il caso della Catalogna, l’anomalia del Principato di Monaco. Una chiave di lettura particolare, per meglio comprendere cosa è diventato il calcio dei nostri giorni ma anche per orientarci nell’avvenire delle relazioni internazionali.
CALCIO & GEOPOLITICA, come e perché i Paesi e le potenze usano il calcio per i loro interessi geopolitici; di Narcìs Pallarés-Domenéch, Alessio Postiglione e Valerio Mancini; Edizioni Mondo Nuovo, 200 pagine, 16 euro.


© RIPRODUZIONE RISERVATA