Maradona, un'inchiesta sugli anni napoletani. E Piatti racconta il suo metodo, da Ljubicic a Sinner

Un romanzo-inchiesta sui tanti misteri del periodo napoletano di Maradona, e poi Piatti e il grande tennis, il suo metodo, i tanti campioni allenati, la crescita di Sinner
Maradona, un'inchiesta sugli anni napoletani. E Piatti racconta il suo metodo, da Ljubicic a Sinner
Massimo Grilli
5 min

«Eccolo, il miracolo postumo di Diego, figura trasversale, che unisce persone diverse, una leggenda che attira stima e rimpianto. Anche se il suo corpo terreno non c’è più, la sua leggenda è eternamente fissata». Impossibile non sottoscrivere le parole di Altamura, giornalista e scrittore. A un anno dalla sua scomparsa, Maradona non se ne è ancora andato via del tutto. E’ ancora con noi, sui murales napoletani e nelle maglie con il suo nome che ancora si portano con orgoglio, nei ricordi di chi ci ha giocato insieme o semplicemente può vantarsi con i figli per averlo visto in azione dal vivo. E’ questo il lascito più grande per un giocatore che ha fatto la storia del calcio, nel bene ma anche nel male, perché numerosi sono ancora i punti oscuri di una vita imperfetta e per tanti versi drammatica di Diego. Altamura ha appunto indagato in questo bel libro sui tanti misteri irrisolti del periodo napoletano del numero 10, in quei sette anni intercorsi fra la trionfale presentazione al San Paolo nel 1984 - a cui l’autore, bambino, ha assistito - fino alla fuga solitaria in Argentina, nella primavera del 1991, dopo l’arresto nella sua abitazione, per detenzione di droga. Utilizzando fonti giudiziarie, giornali e testimonianze dell’epoca, Altamura traccia un ritratto senza sconti della vita di Maradona a Napoli e nel Napoli di Ferlaino. I vizi, la proverbiale sregolatezza, i contatti numerosi con il mondo della malavita, ma anche le ipocrisie e le omissioni del sistema calcio, “capace di fingersi sordo e cieco, finché c’è da spremere, e all’improvviso severo e moralista, quando il succo è finito”. Tra analisi contaminate e il Mondiale di Italia ’90, laboratori misteriosi e partite a calcetto con Pablo Escobar, è una storia che si può leggere come un giallo, a immaginare un piano per sbarazzarsi di un campione sicuramente scomodo, che non perdeva occasione per sfidare apertamente i potenti del calcio. Un piano, lo possiamo dire a trent’anni dal suo addio a Napoli, fallito. “Hanno eliminato il Maradona che vinceva le partite da solo ma non sono riusciti a infrangere l’idolo”. «Sono stato e sono molto felice - disse nella sua ultima intervista, rilasciata al “Clarin” - il calcio mi ha dato più di quello che avevo immaginato. Gli sono grato per l’affetto della gente perché sento che, nonostante tutto, non finirà mai».
L’IDOLO INFRANTO, chi ha incastrato Maradona? di Marcello Altamura, edizioni Ponte delle Grazie 192 pagine, 14 euro

«Jannik non parlava praticamente mai. Madrelingua tedesca, con l’italiano faticava molto. Ma in campo si trasformava. Rimasi fulminato da Sinner perché colpiva in modo diverso dagli altri, come se per lui fosse un movimento automatico. Inoltre, a differenza della gran parte dei suoi coetanei, lui andava sempre verso rete, oppure spingeva e cercava il colpo vincente. La verità era che mi si era aperto il cuore: una cosa che non mi capitava da anni, che forse non mi era mai capitata». Parole e musica di Riccardo Piatti, il più famoso “maestro” del nostro tennis, colui che sta forgiando giorno dopo giorno il campione Sinner, e in questo libro Piatti si racconta in modo sincero e con tanti aneddoti inediti al bravo Federico Ferrero, una delle “voci” migliori dello sport della racchetta. E’ la storia di un bambino stregato a dieci anni dal tennis, intravisto un giorno nel parco di Villa d’Este, che del tennis ha fatto poi il suo sogno realizzato, così diverso dalla carriera di avvocato per cui lo spingeva la famiglia. Dai “Piatti boys” (Furlan, Caratti, Brandi e Mordegan) alla splendida accademia del Piatti Sporting Center a Bordighera, è il racconto appassionato - intervallato da estratti del “taccuino del coach”, dove Piatti espone le sue idee guida - del suo rapporto con i grandi della racchetta, dai 17 anni di sodalizio con Ljubicic, scovato a 18 anni e portato fino al terzo posto della classifica mondiale, a quel giovanissimo Djokovic appena sfiorato, dalle lacrime con Gasquet al momento della separazione al sodalizio ondivago con Raonic, fino all’avventura breve ma intensa - e interrotta solo per i problemi insolubili alla spalla - con Sharapova, che non a caso ha firmato una affettuosa prefazione al libro. E poi i divertenti siparietti con McEnroe, i giudizi sul tennis moderno e i suoi protagonisti. Ne esce fuori il ritratto di un uomo che ha dedicato tutta la sua vita al tennis, un “monopensiero” dedito al continuo miglioramento del suo metodo e dei suoi assistiti, che è poi probabilmente la chiave del suo successo. «Mi ritrovo spesso a pensare di essere sbagliato. Che non si può vivere in questo modo, sacrificare tutto per un semplice sport. Il fatto è che non ho alternative: sono nato così e in tutta la mia vita non mi sono spostato di una virgola. L’importante, per me, è non guardarsi indietro, non sedersi, non accontentarsi. E se vi
state chiedendo se a uno come me spaventi l’idea di fermarsi… dico di no. Semplicemente perché non mi fermerò».
IL MIO TENNIS, la mia storia, il mio metodo per trasformare un giocatore in campione; di Riccardo Piatti con Federico Ferrero; Rizzoli Editore, 230 pagine, 18 euro


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