“Nell’aria si sente un forte odore di fainà (la farinata di ceci tipica della Liguria). Per le strade si vende “O Balilla”, un giornale in dialetto, e i “carbunin” usano pantaloni bleu di Genova. Eppure non siamo sotto la Lanterna, ma dall’altra parte del mondo, a Buenos Aires”. Servirebbe un accompagnamento malinconico del bandoneon, lo strumento ideale per il tango, mentre si leggono le pagine di questo splendido libro, che è una storia di calcio ma anche di immigrazione, di come Genova e la Parigi del Sudamerica fossero quasi la stessa città, separata però da un oceano. Si parte dall’Hotel de los Inmigrantes sul Rio de La Plata, il posto dove approdarono milioni di italiani, per spiegarci come i nostri connazionali sono presto diventati protagonisti in questo nuovo sport, il football, che dall’Europa fece velocemente presa in Sudamerica. Sono loro a creare squadroni come il Boca degli “xeneizes” (i genovesi) o il River Plate, o il San Lorenzo, la squadra di Papa Francesco - che prende il nome dal salesiano Lorenzo Massa - ma anche il Penarol, in Uruguay, fondato da abitanti di Pinerolo. E’ il romanzo degli oriundi, immigrati di ritorno che tanta importanza hanno avuto nei nostri trionfi mondiali, e che ancora adesso rinforzano la squadra azzurra, basti pensare a Emerson, Toloi, allo sciagurato Jorginho. Negli anni Venti e Trenta, giocare a calcio permetteva ai più bravi di poter sperare, come oriundi, nel ritorno in Italia, e Marco Ferrari - figlio di immigrati e redattore del quotidiano in lingua italiana “Gente d’Italia”, stampato a Montevideo e venduto in Uruguay e Argentina - ci racconta le gesta di campioni come i Tangueros della Juventus - da Cesarini a Sivori a Orsi, che suonava il violino per combattere la nostalgia - e poi Sallustro, il primo grande eroe del Napoli, il trio delle meraviglie del Torino e gli uruguaiani del Bologna, ma anche giocatori che proprio fenomeni non erano, come la storia straordinaria di Elmo Bovio, argentino classe 1925, che provò invano a rinforzare l’Inter. “Pativa il freddo al punto che giocava sempre col basco in testa, i guanti, e ogni tanto andava a farsi un tiro di sigaretta in panchina perché sosteneva che gli riscaldava i polmoni. Domenica 19 gennaio 1947, a Modena, con la colonnina meteo attorno allo zero, nell’intervallo, battendo i denti, si attaccò alla stufa dello spogliatoi rifiutandosi di tornare in campo, lasciando così in dieci i compagni…“. E poi le scaramanzie di Lorenzo, le prodezze di Ghiggia e Schiaffino, gli Angeli dalla faccia sporca, Messi e il legame con Recanati. Una miniera di storie, da non perdere.
AHI, SUDAMERICA, oriundi, tango e futbol; di Marco Ferrari, Editori Laterza, 254 pagine, 18 euro.
“Per Juan Martin è stata un’esperienza un po’ strana - dichiarò un giorno Franco Davin, ai tempi allenatore di Del Potro, impegnato in un’esibizione con il campione svizzero - l’Argentina è casa sua ma fanno tutti il tifo per Federer…”. Perché la verità è questa, il tifo per Federer non ha mai avuto bandiere, lui è stato amato e basta, dagli appassionati di tutto il mondo. E anche adesso che non si sa quando tornerà in campo, dopo il doppio intervento al menisco, che anche la sua presenza sugli amati campi di Wimbledon sembra niente più che una speranza, Roger Federer resta un’icona indiscussa del tennis mondiale, come dimostrano i tanti libri che gli vengono ancora dedicati. Christopher Clarey, cronista americano con più di trent’anni di militanza sui campi di tutto il mondo, ci regala una monumentale opera (più di cinquecento pagine, con un utilissimo indice analitico) dove ha raccolto dettagli e aneddoti del suo rapporto privilegiato con Roger, visto per la prima volta in azione proprio al suo debutto nei tornei del Grande Slam, sul campo Suzanne Lenglen del Roland Garros, nel 1999 (per la cronaca, fu battuto in quattro set da Patrick Rafter). L’autore ha incrociato tante volte Federer, lo ha seguito nel giro di esibizioni in Sudamerica, è salito sul suo aereo privato il giorno dopo una dolorosa sconfitta nella finale di indian Wells, lo ha inseguito dai ristoranti sulle Alpi svizzere, fino a una suite dell’hotel Crillon di Parigi, con vista privilegiata su Place de La Concorde, e qui apre il suo libro dei ricordi. Un racconto in giro per il mondo inseguendo Federer, di cui Clarey racconta il ventennio al vertice del tennis utilizzando estratti dalle sue interviste al Maestro, sentendo il parere di chi lo ha sfidato in campo - da Roddick a Safin, da Nadal a Djokovic - dei suoi allenatori, parlandoci soprattutto dell’uomo oltre che del campione, del suo stile di vita e della sua visione delle cose. «Questo libro non vuole essere una enciclopedia su di lui, il mio obiettivo era di essere episodico e interpretativo, costruito con cura intorno ai luoghi, alle persone e ai duelli che per Federer sono stati importanti o simbolici”. E allora ecco l’orgoglio di mamma Lynette e le sfide infinite contro Nadal, la sensazione della fine di una luminosissima carriera e la voglia di continuare a respirare le emozioni di una grande partita, «perché quando mi ritirerò, tutto questo non ci sarà più».
ROGER FEDERER, IL MAESTRO, di Christopher Clarey, Baldini+Castoldi Editore, 551 pagine, 22 euro.