Come l'Arabia Saudita si è comprata lo sport
«A oggi è difficile trovare uno sport che lo Stato saudita non abbia comprato, nel quale non abbia investito e che non abbia portato nel regno. Per farlo, nel 2024 ha speso cinquantuno miliardi di dollari attraverso il Pif (Public Investment Fund) nelle più svariate discipline: dal wrestling femminile agli scacchi passando per il Newcastle United. Sono stati firmati oltre novecento accordi distinti di sponsorizzazione in giro per il mondo del valore di miliardi di dollari…». Bastano queste righe, nelle prime pagine del bel libro di James Montague, per capire come l’Arabia Saudita abbia ormai messo le mani su tanto sport di vertice, e per quanto ci riguarda le immagini in copertina di Simone Inzaghi, passato dalla panchina dell’Inter a quella dell’Al-Hilal per una montagna di soldi (25 milioni a stagione…) e di Jannik Sinner, che si è appena portato via da Riyad i sei milioni di dollari in palio per il vincitore dell’esibizione “Six Kings Slam”, stanno lì a confermarlo. James Montague, giornalista e scrittore inglese, è noto per le sue inchieste, e dopo l’importante libro sulle tifoserie di tutto il mondo (“Tra gli ultras. Viaggio nel tifo estremo”, edito sempre da 66THAND2ND), è tornato in libreria con questo interessantissimo reportage su una certa deriva dello sport di vertice - dal calcio al pugilato, dal golf al tennis, dall’automobilismo agli e-sports - e di come e perché l’Arabia Saudita abbia voluto investire così pesantemente, seguendo una attenta strategia di soft-power, nel tentativo quindi di acquisire influenza e potere, e anche per ripulire una immagine pesantemente macchiata dalla continua violazione dei diritti umani e dalla soffocante repressione interna (solo nel 2024 in questo stato sono state giustiziate più di trecento persone). Da una parte l’ascesa inarrestabile dell’emiro Mohammed bin Salman e della sua spregiudicata corte (tra cui il potente Turki Alalshikh), dall’altra l’indifferenza fatale e l’acquiescenza dei dirigenti sportivi (uno per tutti, il presidente della Fifa Infantino, abilissimo nell’ignorare i regolamenti pur di regalare all’Arabia Saudita il Mondiale di calcio del 2034) hanno dato una spinta forse inarrestabile a un fenomeno nato pochi anni fa, considerando la Mezza Maratona di Riyad del 2018 come il primo importante evento sportivo internazionale tenutosi nella capitale saudita. Poi sono arrivate l’acquisizione del Newcastle, portato velocemente fino alla Champions League, l’arrivo di Cristiano Ronaldo nel campionato saudita, le partite di Supercoppa, l’organizzazione dei match più importanti di pugilato (come quello tra Usyk e Fury), l’attacco alla tradizione del grande golf con il ricchissimo tour del LIV, lo sbarco nel mondo del tennis con le esibizioni milionarie, la sponsorizzazione delle classifiche ATP e WTA, anche le Finals femminili, in programma a novembre a Riyad, e ora l’annuncio del primo “1000”, previsto nel 2028. Sullo sfondo l’obiettivo “Vision 2030” - che dovrebbe portare l’Arabia davvero nel futuro - sempre più vicino, mentre va avanti il progetto ambizioso di “Neom”, la città futuribile da 500 miliardi di dollari alimentata solo da energie rinnovabili, e resta ancora senza colpevoli l’efferato omicidio del giornalista Khashoggi, fortemente critico sull’operato di Mohammed bin Salman e ucciso nel 2018 all’interno del consolato saudita di Istanbul (con MbS che sarebbe stato il mandante dell’operazione). Tutto questo, per il bene dell’Islam? Per il Medio Oriente? No, risponde Montague, solo per il potere, per mantenerlo e acquisirne di nuovo.
INGOLFATO, come l’Arabia Saudita ha comprato lo sport e il mondo; di James Montague, edizioni 66THAN2ND, 277 pagine, 20 euro.
