Lentini, una vita sulla fascia

Lentini, una vita sulla fascia

Il libro di Tossani è la biografia di un campione mai realizzato in pieno, che amava il biliardo e il mare d'inverno, ed è anche il viaggio in un calcio che non c'è più
Valeria Ancione
3 min

La velocità, sicuramente, unita a una gran tecnica. Se uno pensa a Gianluigi Lentini, classe 1969, vengono subito in mente le sue sgroppate sulla fascia, come ogni ala dei bei tempi doveva saper fare, i suoi dribbling, le sue acrobazie (quel gol in rovesciata al Pescara…). La velocità era il marchio di fabbrica di questo torinese di Carmagnola (ma di famiglia siciliana), cresciuto nel settore giovanile del Torino, sgrezzato nella Primavera da quel fantastico scopritore di talenti quale era Sergio Vatta, ma è stata anche la sua condanna, se pensiamo al terribile incidente di macchina di cui fu vittima nell’agosto del 1993 (giocava nel Milan, allora) che ne rappresentò in qualche modo l’inizio della fase calante della carriera.

«Un cavallone dai piedi vellutati ma dalla grande forza fisica - così lo descrisse Adalberto Bortolotti sul Guerin Sportivo - in grado di sventrare qualsiasi difesa con le sue percussioni in palleggio e in progressione». «Gianluigi Lentini, uno di noi» chiude invece così Michele Tossani il suo bel tributo a questo campione mai realizzato in pieno, all’uomo che forse amava più il biliardo del pallone e che sognava di avere il tempo e la libertà per andare a vedere il mare d’inverno. Un calciatore “normale”, che non amava i riflettori e che, una volta chiusa la carriera, ha preferito la compagnia degli amici di sempre alle comparsate in televisione.

Lentini debuttò in serie A a 17 anni con il Torino, lanciato da Radice a Brescia, e per il popolo granata apparve subito come l’erede dei grandi Meroni e Claudio Sala, «la promessa di un futuro diverso», aggiunge Mauro Berruto nella sua appassionata prefazione. Poi arrivò Berlusconi a scompigliare il quadro, Lentini finì al Milan in un’operazione da 65 miliardi di lire, tra le proteste accesissime (e le accuse di tradimento) dei suoi (ex) tifosi. Ecco, l’altro personaggio importante del libro di Tossani è il calcio alla fine del secondo millennio, con i suoi tanti protagonisti raccontati con attenzione e competenza: da Sacchi a Capello (gli allenatori “responsabili” delle delusioni più dolorose subite da Lentini, l’esclusione dai convocati del Mondiale negli Usa del ’94 e dalla finale di Champions contro l’Ajax un anno più tardi) da Mondonico con la sua sedia alzata al cielo contro le ingiustizie a Maifredi, a Baggio, fino alla scalata rapida del calcio italiano e mondiale guidata da Berlusconi. Condito da interviste ai protagonisti del tempo, quella di Tossani non è solo una biografia, è anche un viaggio in un calcio (e in un mondo) che appare lontanissimo rispetto ai nostri tempi. Era meglio? Era peggio? Forse eravamo solo più giovani e guardavamo la vita con altri occhi. Resta lo sguardo un po’ malinconico di Lentini, per sua fortuna avulso dalla nostalgia. «Vivo una vita tranquilla che mi piace molto - ha detto recentemente - il calcio non lo seguo più di tanto, ho sempre amato solo giocare».

GIGI LENTINI, il talento del Fildelfia; di Michele Tossani, Edizioni Incontropiede, 182 pagine, 19,50 euro.


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