Cecchinello: "Festa Honda con una moto vecchio stile"

"Rins e Mir hanno chiesto un mezzo più agile anche a scapito della velocità di punta"
Cecchinello: "Festa Honda con una moto vecchio stile"© Getty Images
Mirko Colombi
5 min

Gli schiamazzi all’interno del box Honda-LCR non mentono: la festa è latina, con tanto di penitenza osservata da un meccanico, costretto a farsi tagliare i capelli. Ha vinto la Honda, per decenni simbolo della supremazia tecnica giapponese, ma lo ha fatto grazie allo spagnolo Alex Rins e alla competenza di un sognatore italiano che domenica ha toccato i 100 podi da manager, Lucio Cecchinello. Una tripla cifra a cui ha contribuito lui stesso, sette volte vincitore nel Mondiale 125, prima di lanciare Casey Stoner in MotoGP e compiere grandi imprese con Cal Crutchlow. 

Cinque anni dopo l’ultimo successo dell’inglese, un pilota Honda diverso da Marc Marquez è tornato a trionfare, e non l’ha fatto con i colori della scuderia ufficiale, bensì con quelli LCR, scialuppa di salvataggio in un inizio di stagione che per il team Repsol è stato più ricco di cadute - con l’infortunio di Marquez - che di piazzamenti. 

«Questo weekend ha avuto un sapore dolcissimo - conferma Cecchinello, 53enne veneziano trapiantato a Imola - Non salivamo sul podio da tre anni e mezzo. E ad Austin ne sono arrivati due con Rins. Alla fine lavori tutti i giorni dell’anno, per 10-15 ore, e quando vivi questi lunghi periodi senza gioie mantenere alta la motivazione è difficile. La passione resta, ma quella scintilla per dare il 110% è più complicata...». 

La Honda è uscita dalla crisi? 
«C’è un raggio di luce in fondo al tunnel, però non ne siamo fuori».

Se l’aspettava un weekend del genere? 
«No, ci aspettavamo solo la Q2 diretta sabato, perché Rins qui aveva vinto in passato ed era sempre stato molto veloce. Ma non mi aspettavo di sfiorare la pole, tantomeno il secondo posto nella Sprint, e figuriamoci domenica...». 

Rins ha vinto tre degli ultimi sei GP, comprendendo il 2022 con la Suzuki: domenica è stato più merito suo o della Honda? 
«Onestamente ci ha messo un po’ di più Alex. Lui ricorda Crutchlow: quando vede l’opportunità non la lascia neanche a morire. Anzi, va tenuto calmo, come abbiamo fatto tra sabato e domenica».

Cosa gli avete detto? 
«L’idea, in caso di buona partenza, era di seguire Bagnaia, senza superarlo nei primi giri al contrario di quanto fatto nella Sprint, perché poi Pecco sarebbe tornato davanti, e mettendosi in bagarre Alex avrebbe fatto il gioco degli inseguitori».

Poi Bagnaia si è autoeliminato.  
«Alex ha cercato di infastidirlo, ma non era la nostra priorità. Volevamo solo che si creasse un gap sul gruppo, per puntare al podio. Mi spiace per Pecco, ma per noi è stata un’impresa… devo ancora realizzare».

Quanto è cresciuta la Honda? 
«Il miglioramento c’è stato, nel finale Rins girava in 2’03” medio: ci sembrava troppo, invece aveva la moto cucita addosso».

Come spiega la crisi dell’HRC? 
«Il loro sistema di lavoro è fatto di piccoli passi: i giapponesi sono più conservatori degli occidentali, per cambiare strada impiegano più tempo. L’assenza prolungata di Marquez li ha disorientati sulla direzione da seguire, aspettavano il pilota di punta prima di mettere troppa carne al fuoco. Ma nel frattempo i rivali hanno introdotto nuove tecnologie, nuovi concetti per sfruttare l’aerodinamica, e la Honda si è ritrovata un pelo in ritardo».

Dalla Suzuki è arrivato il contingente con Rins, Joan Mir e il d.t. Ken Kawauchi: cosa è cambiato? 
«Avevamo un pacchetto aerodinamico che favoriva la velocità massima ma non pagava in termini di maneggevolezza e agilità. Inoltre Rins e Mir hanno chiesto una moto più “old style”, da gestire maggiormente con il loro polso destro, e con un intervento meno invasivo dell’elettronica». 

Arriverà l’atteso telaio Kalex? 
«Non so nulla, ora disponiamo di materiale HRC. E abbiamo capito che prima di lasciare la strada vecchia dobbiamo avere la controprova, la controprova e la... controprova, perché è facile prendere una direzione sbagliata»


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