Un milione di tonnellate di smog in più all’anno nell’atmosfera. Il calcolo è per difetto, ma è sufficientemente indicativo delle conseguenze criminali partorite dallo scandalo Volkswagen, dagli 11.500.000 auto taroccate sulle quali la casa tedesca ha ammesso di avere installato il software illegale su sei modelli del Gruppo per manipolare le emissioni durante i test in laboratorio: 500 mila negli Usa, 11 milioni nel resto del mondo, Italia compresa. E’ auspicabile che le dimissioni dell’amministratore delegato della Volkswagen, il quale inizialmente non voleva mollare la poltrona, siano soltanto l’inizio di una serie, fermo restando sia altrettanto auspicabile che i responsabili di questo scandalo marciscano a lungo in galera. Su questo, conoscendo le leggi tedesche, non ci dovrebbero essere dubbi. Ma qui sta il punto. Questa "autentica vergogna nazionale" (l’espressione non è nostra, ma di uno dei più autorevoli siti della Repubblica Federale) dimostra come nessuno possa ergersi a maestro di vita di tutti. Il riferimento è alla Germania garante della stabilità europea, nazione guida dell’Unione, fulgido esempio di organizzazione, efficienza, rispetto delle regole. Lo sanno bene i fratelli greci, devastati dal draconiano piano di salvataggio dell’economia nazionale che ha avuto il suo emblema nel ghigno di Schauble, ministro delle finanze del secondo governo Merkel. Provate ad immaginare le prediche, le filippiche, le copertine denigratorie dei mezzi di informazione tedeschi se un scandalo di proporzioni planetarie come quello targato Volkswagen fosse stato di marca italiana.