La miniera Montevecchio

Non solo spiagge e mare cristallino, in Sardegna anche un coinvolgente percorso di archeologia industriale
La miniera Montevecchio
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La radicata tradizione mineraria sarda rivive durante la visita dell'imponente sito di estrazione, che nei suoi 150 anni di storia è stato uno dei più importanti d’Europa. Tra le tante occasioni di visita offerte dalla Costa Verde, Sardegna sud-occidentale, c’è sicuramente quella, imperdibile, alla miniera Montevecchio a Guspini. Un coinvolgente percorso di archeologia industriale, che accompagna il visitatore alla scoperta della vita all’interno delle miniere, un tempo florida attività isolana, svelando la quotidianità dei minatori; ma anche i macchinari e le imponenti strutture che oggi si ergono come cattedrali decadenti di un’epoca ormai passata.

In occasione dell’emergenza Coronavirus, per meglio garantire la sicurezza dei visitatori e il distanziamento sociale, la società cooperativa che si occupa del sito ha deciso di inaugurare un nuovo percorso di visita, il percorso di Levante, che non offre un'esplorazione limitata dell’area, ma la arricchisce di nuovi elementi, all’interno dei cosiddetti “Cantieri di Levante”. Miniera Montevecchio, estesa su una superficie di 1200 ettari, fu fondata nel lontano 1848 dal sassarese Antonio Sanna ed è rimasta in attività per circa 150 anni, fino al 1991, anno della definitiva chiusura. In particolare, fu intorno alla metà del secolo scorso, che la sua attività toccò il culmine, affermandosi come una delle miniere di Zinco e Piombo più importanti d’Europa, e la più grande miniera della Sardegna.

Accompagnati da una guida ufficiale, la visita inizia camminando lungo i tracciati del sito minerario, con la possibilità di osservare da vicino i vari fabbricati, ognuno legato alle storie dei minatori e delle loro famiglie, che qui vivevano. Il primo settore di cui si va alla scoperta è “Piccalinna”. Qui si possono osservare la suggestiva struttura del pozzo di San Giovanni e le gabbie che trasportavano i minatori all’interno pozzo minerario; poi la sala argano, la laveria, la lampisteria e la sala compressori, dove troneggia il Sullivan da 120 cavalli, grazie al quale si otteneva un’estrazione di 20 metri cubi di materiale all’ora. La visita prosegue attraverso l’area “Mezzena”, il cuore tecnologico della miniera in cui si realizzavano i modelli in legno per creare pezzi di ricambio; e poi nel settore Calderai, in cui si effettuava la creazione e la manutenzione degli utensili metallici necessari all’attività in miniera; fino all’Officina Meccanica, in cui venivano controllati e messi a punto i pezzi di ricambio e manutenzionati i macchinari prima di essere impiegati.

Costeggiando il piazzale, è poi possibile osservare il “Pozzo Sartori”, che con i suoi 520 metri è il più profondo tra tutti e sei i pozzi di estrazione del sito, per poi raggiungere la zona denominata “Sant’Antonio” da cui si gode una suggestiva vista dell’intera vallata che ospita i “Cantieri di Levante”. Ultima tappa del percorso ad anello che caratterizza la visita è quella agli stabili musealizzati, alcuni dei quali ospitavano il deposito minerario, la casa degli operai, le stalle e numerosi altri ambienti di servizio, in cui scoprire la condizione di lavoro di uomini, donne (e un tempo, anche bambini) della “Moneta Montevecchio”.


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