In principio fu il Conte Scipione Borghese, accompagnato dal meccanico Ettore Guizzardi e dall’inviato del Corriere della Sera Luigi Barzini. A bordo di una Itala, l'illustre trio trionfò nella prima Pechino-Parigi, conosciuta anche come primo raid automobilistico della storia. Era il 1907, i chilometri 16 milla e i giorni di gara 40, anche se al Conte Scipione e compagni ne bastarono la metà.
Di due settimane fa, invece, è la notizia della fine dell'edizione 2019.
14mila chilometri per raccogliere fondi
Per la seconda edizione si dovrà aspettare molto. Ben novant’anni. Dal 1997 in poi la Pechino-Parigi si è tenuta con cadenza triennale, è riservata alle auto storiche ed è organizzata dalla Endurance Rally Association.
La corsa 2019 è stata speciale: uno dei tre team italiani ha gareggiato per una nobile causa, sostenendo il Comitato Maria Letizia Verga in favore dei bambini colpiti dalla leucemia. Raccogliere 14mila euro è stato l’obiettivo, circa uno per ogni chilometro percorso, e il ricavato andrà all’ospedale San Gerardo di Monza, fondato proprio dal Comitato.
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Una competizione lunga 36 giorni
A bordo di una Fiat 124 Spider del 1971 (detta “Pepa”), Enrico Piaggi e Federica Mascetti (patrocinati dall’ASI) hanno portato a termine la storica competizione, durata ben 36 giorni. La coppia è iscritta al club Varese Auto Moto Storiche ed è abitué di vari generi di gare.
“Da amanti del fuoristrada – ha raccontato Enrico Paggi – sognavamo da anni di partecipare alla Pechino-Parigi, una sfida più difficile, lunga e avventurosa della Dakar. È davvero la gara delle gare, perché esistono altre prove che impegnano per alcuni giorni, ma qui parliamo di 36 giorni in condizioni spesso difficili tra sterrati, deserto, strade di ghiaia e guadi.
Volevamo affrontarla con una vettura italiana, per questo abbiamo scelto la 124 Spider, che di fatto è stata la prima auto da rally della Fiat ad imporsi in questa specialità a livello internazionale. Per affrontare la Pechino-Parigi è stata opportunamente allestita e rinforzata in ogni parte, in modo da resistere a deserti e pietraie. Il motore, vero punto forte dell’auto, è stato messo a punto per poter usare benzine a basso numero di ottani e per girare bene anche ad altitudini elevate, come in Mongolia”.
Non è stata comunque una gara facile. Gli imprevisti, infatti, non sono mancati. “La felicità della partenza – ha detto Paggi – ha subito lasciato il posto alla delusione per la rottura delle sospensioni posteriori. Dopo cinque giorni tra steppe e deserti cinesi, ad Ulabator, capitale della Mongolia, abbiamo raddrizzato le barre posteriori e riparato gli attacchi degli ammortizzatori. Si è tranciata anche la barra diagonale. La sensazione di vivere in totale solitudine, per nove ore, fermi nel deserto del Gobi, è stata drammatica ma anche formativa. Recuperati dal camion d’assistenza, tutto è stato sistemato per noi e per altre dodici auto in avaria. Tra l’altro, mi piace, ricordarlo, in 14mila chilometri percorsi non abbiamo forato neanche una volta. Praticamente un record; forse un po’ di fortuna; sicuramente ottime le gomme Geolandar della Yokohama”.
Nonostante la competizione, il rapporto umano è un fattore importante nella Pechino-Parigi, come afferma l’altra metà della coppia, Federica Mascetti: “Abbiamo incontrato persone simpaticissime tra gli equipaggi e tra le diverse popolazioni che abbiamo incontrato, ma soprattutto tra i vari meccanici locali, che hanno lavorato gratis per riparare le automobili dei partecipanti”.
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