Perché in Italia si guida a destra

Quella del senso di marcia è una storia molto recente. Fino al 1901 non esistevano norme, ma solo dal 1923 le strade sono diventate uguali per tutti. Il decreto porta la firma di Mussolini
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In Italia le automobili viaggiano sulla destra. Niente di nuovo né di strano, oggi. Ma basta tornare indietro di meno di un secolo e la situazione cambia notevolmente. Da quando è iniziata la diffusione delle prime vetture, infatti, i tempi sono cambiati e le amministrazioni hanno dovuto imparare ad adattarsi alla nuova viabilità. Facciamo luce sulla storia della guida a destra.

NEL 1901 LE PRIME REGOLAMENTAZIONI

Quando le automobili iniziarono a occupare le strade, i conducenti erano soliti guidare indifferentemente a sinistra, a destra e al centro della carreggiata: il traffico stradale era quasi inesistente, così come la velocità delle vetture, in più chi si spostava in auto annunciava il suo passaggio attraverso l’uso di clacson e trombette. Il primo caso di regolamentazione stradale arrivò il 28 luglio 1901, con il Regio Decreto n. 416: ogni provincia aveva il diritto di imporre limiti di velocità e stabilire il senso di marcia dei veicoli: un vero e proprio Codice della Strada locale. Capitava così che, nei lunghi viaggi, gli automobilisti si trovassero a spostarsi frequentemente dalla sinistra alla destra della carreggiata e viceversa, a causa delle diverse disposizioni tra città e città. Per esempio, a Venezia e Vicenza era in vigore la marcia a destra, mentre nella vicina Verona si preferiva la sinistra. A Ravenna tutti a destra, ma sulla strada per Porto Corsini un’”antica consuetudine” portava i conducenti a viaggiare sull’altro lato. A Trapani lo stesso prefetto dichiarò che “si era soliti tenere la destra, ma non sempre”.

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IL DECRETO DI MUSSOLINI NEL 1923

Quando arrivò la Prima guerra mondiale, le avvisaglie che la situazione fosse un po’ confusionale divennero evidenti: dopo la terribile sconfitta subita a Caporetto nell'ottobre 1917, le truppe italiane dovettero indietreggiare fino al fiume Piave; un terribile ingorgo tra i rinforzi che salivano a Nord tenendo la destra e le forze che scendevano in ritirata marciando a sinistra causò la vita a migliaia di soldati. Ci vollero più di cinque anni per stabilire una regola che valesse per tutti: fu Benito Mussolini, appena nominato Presidente del Consiglio, a imporre un unico senso di marcia nel 1923, ma la via per trovare una soluzione fu piuttosto lunga.

DAI CARRI ALLE AUTOMOBILI

L’Italia contadina, abituata a spostarsi su carri e muli, teneva poco conto delle disposizioni ufficiali preferendo di volta in volta la carreggiata più sicura per non cadere nei dirupi o per evitare mosse avventate da parte degli animali. Nella provincia di Perugia si verificava un alto tasso di mortalità a causa dell’incertezza sull’argomento e delle strade rurali. Nell’evitare fossi e fango, i conducenti dei carri si spostavano spesso al centro della carreggiata incontrando spesso l’incedere delle automobili, con conseguenze spesso tragiche. Milano, Torino, Roma erano città con la guida a sinistra, ma nelle loro periferie si indugiava alla guida a destra. All’annuncio dell’obbligo di guida a destra, i prefetti di queste città si opposero volendo imporre la loro abitudine, ma un rapporto del Regio commissario Cremonese di stanza a Roma, illustrava la scomoda situazione stradale perché i tram – e tutto il sistema della linea tramviaria – viaggiavano a sinistra. L’obbligo della destra sarebbe costato sei milioni alla Capitale per adattarsi alla nuova legge, ma si trovò un compromesso. Il 31 dicembre 1923 la legge fu controfirmata dal Re e sanciva la mano destra come unico senso di marcia a livello nazionale, concedendo una proroga di due anni alle amministrazioni per modificare segnaletica e linee tramviarie. Il resto è storia attuale.


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