Attila Sallustro, il Veltro e quella guida spericolata sulla Balilla 521

Il primo fuoriclasse del calcio napoletano, durante gli anni Venti del Novecento, ha legato il suo nome alla storica auto, con cui fu protagonista di una vicenda rimasta nella poesia del tifo azzurro
Attila Sallustro, il Veltro e quella guida spericolata sulla Balilla 521
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Il “Veltro”, lo scattante levriero. Era così che chiamavano Attila Sallustro, la prima leggenda del calcio napoletano, 60 anni prima di Maradona e primo artista del calcio internazionale, che fu il primo a sconvolgere e a conquistare l’amore sportivo dei partenopei. Veloce sul campo, veloce in strada, fuoriclasse come nella storia con quella Balilla 521 nera.

LEVRIERO DEL GOL

Attilia Sallustro arrivò in Italia dal Paraguay nel 1920 con genitori, fratelli e la “mamy” Evelina. Iscritto a una scuola calcio a 12 anni, il piccolo Attila fu notato da uno scout che lo portò all’Internaples, antesignana della società che conosciamo. Con la nascita del Napoli, Sallustro divenne il centravanti degli azzurri, segnando 10 gol in 13 partite a soli 18 anni. Con lui al centro dell’attacco, e i fidi scudieri Vojack e Mihalich, i partenopei divennero un esercito del gol. In carriera Sallustro collezionò anche due presenze in una nazionale – quella di Pozzo – guidata però da Giuseppe Meazza, “colpevole” di esserne il Nove titolare: i tifosi napoletani, per fargli pagare il fatto di rubare la scena al loro Attila, decisero di fischiare ogni sua azione quando l’Italia giocava a Roma, organizzando trasferte allo stadio con il preciso scopo contestatorio.

SPERICOLATO SULLA BALILLA

Nel 1939 Sallustro smise col calcio giocato a 31 anni, senza aver percepito – per gran parte della sua carriera – una sola lira di stipendio. Il padre, Gaetano, gli impose di giocare gratis perché reputava inaccettabile guadagnare dei soldi per giocare a calcio. Per questo motivo, il Veltro veniva ricompensato con abiti raffinati, regali e omaggi. Tra i premi per i suoi gol, il più incredibile arrivò – come riporta La Repubblica – dopo una clamorosa vittoria per 5-0 a Modena: una Fiat Balilla 521 nera, su cui Sallustro era piuttosto spericolato. Ma era una stella del Napoli, per cui, quando investì un passante in via Roma, la vittima lo riconobbe e disse: “Scusate tanto, è colpa mia. Voi potete fare tutto quello che volete”. Storie di un secolo fa, storie eterne del tifo azzurro.

IN NOME DEL SANTO

Dopo il ritiro dal calcio giocato, Sallustro tornò a Napoli nel 1960 con l’incarico di dirigere il neo Stadio San Paolo, ricoprendo il ruolo fino al 1981. Morì due anni dopo, nel 1983. Maradona propose di intitolargli lo stadio, data la sua importanza nel firmamento calcistico napoletano, ma il vescovo di Pozzuoli Sorrentino insorse: “È irriguardoso e irriverente sostituire il nome di San Paolo allo stadio. Qui sbarcò il santo”. Nel frattempo, però, a Napoli era sbarcato anche qualcun altro, con buona pace dei santi e dei vescovi.

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