Le in-dimenticabili: NSU Prinz (verde)

La NSU Prinz, tacciata di portare sfortuna, è stata una delle utilitarie di maggior successo importate in Italia tra gli anni '60 e '70, ma la sua storia inizia molto prima
Le in-dimenticabili: NSU Prinz (verde)
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La NSU Prinz è stata una berlina del segmento utilitarie, prodotta in Germania tra il 1957 e il 1973. L’auto ebbe molto successo in Europa e anche in Italia, dove aveva come competitor la Fiat 500, più economica, ma sicuramente anche più spartana e meno comoda. Proprio nel nostro paese però l’auto fu nel tempo definita come “brutta” e prese la fama di portare sfortuna, in particolar modo se verde (la maggior parte delle Prinz vendute in Italia erano verdi).

Appellativo e fama erano entrambi del tutto immeritati, ma per meglio comprenderlo bisogna conoscere la storia della NSU, la casa tedesca dove la Prinz ha visto la luce.

Leader mondiale nella produzione motociclistica dagli inizi del secolo al secondo dopoguerra, la NSU aveva conosciuto fama e gloria grazie all’attività sportiva, arrivando a vincere anche due titoli mondiali nelle classi 125 e 250 nei primi anni ‘50. Non solo: nel 1956 la Delphin III (così chiamata per via della forma della carena che richiamava la sagoma di un delfino) stabilì il record di velocità fermando il tachimetro a quasi 340 km/h. Un vero e proprio colosso motociclistico: solida meccanica tedesca e genio e inventiva che venivano da una lunga tradizione, ma che cozzarono violentemente contro la grave crisi del mercato delle due ruote iniziata nei primi anni del 1950. Nonostante fosse leader di mercato nella produzione e nella vendita di motociclette e scooter, nel 1954 la NSU rischiava la chiusura. Serviva un cambiamento e il cambiamento avvenne in un battito d’ali, con la progettazione di una auto prima a tre poi a quattro ruote. Del resto la NSU la capacità di cambiare settore di produzione la aveva dimostrata nel corso del tempo: nata nel 1873 come fabbrica di macchine per cucire, si era definitivamente convertita nel 1892 alla produzione di biciclette, annoverando tra i propri clienti Gottlieb Daimler e Wilhelm Maybach (di fatto le auto erano già nel destino della casa). Dalle bici alle motociclette il passo fu davvero breve e nel 1901 accanto ai velocipedi venne prodotto il primo modello a motore, la Neckarsulm 1½ PS, dove 1 ½ rappresentava il cavallo e mezzo di potenza della moto. Assieme alle moto furono prodotte le prime carrozze a motore, che pochi anni dopo, nel 1906, furono abbandonate per la produzione della prima vettura “moderna”: le 8/15 PS su licenza PIPE. Durante i due conflitti la NSU si specializzò anche nella produzione di veicoli per l’esercito tedesco, per rilanciarsi poi nel mondo delle moto e sulle auto da corsa.

Per una azienda del genere, passare nel 1954 dalle moto alle auto fu uno scherzo e il primo progetto su cui si lavorò, dopo aver abbandonato il Typ 30 a tre ruote motorizzato 250cc i cui prototipi furono giudicati troppo rumorosi e scomodi, fu proprio quello della PRINZ: una piccola berlina, destinata a ospitare 3 o 4 passeggeri, comoda, economica ma ben rifinita.

Il propulsore della prima serie era un bicilindrico di 600 cc, di 20 cv di potenza (!!) montato posteriormente e raffreddato ad aria. La distribuzione, sfruttando l’esperienza maturata nel mondo delle motociclette, era affidata a un sistema di due bielle in acciaio detto UVC e non vi erano catene, cinghie, pulegge. Il risultato era un motore difficile da montare e mettere in fase, ma particolarmente silenzioso, Di questa vettura furono prodotte circa 90.000 esemplari, ma non venne distribuita in Italia.

La NSU capì che la PRINZ poteva essere un successo commerciale Europeo: a partire dagli anni ’50 l’auto non era più un bene di lusso riservato a pochi fortunati. Le utilitarie avevano aperto un mercato enorme, con margini sicuramente minori, ma con numeri di vendita neanche paragonabili a quello ben più ristretto delle auto di lusso. Esattamente come era successo anni prima con gli scooter, divenuti il business principale di NSU a scapito delle motociclette, le utilitarie divennero l’ancora di salvezza dell’azienda. Così nel 1958 dal disegno originale di Albert Roder, nacque la SportPrinz (disegnata da Bertone) di cui verranno prodotte poco più di 20.00 unità, che traghettò la produzione della casa tedesca fino al 1961, quando fu lanciata sul mercato la Prinz 4: un restyling totale della prima Prinz, ispirato dalle forme (ma non dalle misure e neanche dalla cilindrata) dell’americana Chevrolet Corvair, a suo volta derivata dalla Corvette.

La Prinz 4 si presentava con una forma più slanciata rispetto alla versione precedente. Notevole era anche la dotazione di serie, in particolar modo nel modello L che presentava sedili reclinabili, vano portaoggetti, orologio e specchietto esterno, oltre al bloccasterzo (i furti delle auto non sono un’invenzione del nostro millennio). Il modello era sempre spinto da un bicilindrico che aveva il motorino di avviamento alloggiato direttamente nel basamento del motore.

Visto il successo dell’auto (anche nel Bel paese) la NSU iniziò la produzione di modelli con motori a 4 cilindri, di cilindrata superiore (da 1000 a 1200 cc), caratterizzati da una potenza che arrivava fino a 85 cv, bassi consumi e, visto il peso limitato dell’auto, da una manovrabilità eccezionale. Proprio la 1200, denominata TT e TTS, si fece valere in gare di slalom e anche nel mondiale Rally, senza arrivare ad essere campione, ma aggiudicandosi molte tappe negli anni ’60. Rispetto alle auto Italiane poi la Prinz non arrugginiva, dettaglio non da poco vista la quantità di stucco per carrozzieri che gli acquirenti di Fiat e Alfa Romeo erano costretti ad acquistare per tenere insieme le carrozzerie delle 500 o della più recente (ma di pochissimo) Alfasud.

Un’auto di successo, che vendette molto in tutta Europa, arrivando a superare il milione di esemplari prodotti. In Italia arrivò ad essere l’auto straniera più venduta, fino agli inizi degli anni ‘70 quando la NSU fu acquistata dal gruppo Audi, poi Volkswagen.

La produzione della Prinz cessò nel 1973. Nonostante il successo nelle vendite, l’auto ebbe in Italia la fama “postuma” di portare sfortuna, tanto che negli anni ’70, era diffusa l’abitudine tra i ragazzi di “passarsi la Prinz” con il classico “tua” e nei casi più gravi anche con un “tua senza ritorno”. Tale fama forse era dovuta al fatto che il design dell’auto, innovativo, elegante e ricercato negli anni ’60, non teneva il passo con i nuovi modelli di auto prodotti in Italia nel decennio successivo. Secondo altri invece il motivo per cui l’auto veniva considerata portatrice di sfortuna era dovuto al fatto che la Prinz 4, nella versione a due cilindri, se non adeguatamente messa punto prendeva fuoco nel retrotreno, a causa dei ritorni di fiamma e della vicinanza tra marmitta e carburatore. Non una cosa da poco ma attribuibile a una cattiva manutenzione del mezzo.

Chi a ha avuto la pazienza e la voglia di mantenere una Prinz in uso, viene oggi ricompensato dal valore commerciale dell’auto, che per una Prinz 4 in buon condizioni si aggira attorno ai 4500 Euro, per salire a 14.000 Euro per il modello precedente (la Prinz 3) e arrivare a 25.000 Euro per una TT equipaggiata rally. Qualcuno ha ancora il coraggio di dire “tua senza ritorno” quando ne vede passare una?


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