La mia vita scandita da Stadio

Giancarlo Antognoni, il grandissimo “10” viola, sfoglia con noi l’album dei ricord
La mia vita scandita da Stadio© Roberto Bregani/Massimo Sestini
Francesca Bandinelli
11 min

Una vita scandita dai titoli di giornale, come cartoline all’interno di un album della memoria. Giancarlo Antognoni le vede scorrere davanti ai propri occhi, «con quella testata verde, che mi ha sempre ricordato il colore del rettangolo di gioco. Che aveva raccontato le gesta del primo e del secondo scudetto della Fiorentina e che con me, il terzo, se l’è visto scippare alla fine, dopo una cavalcata emozionante». Non ha dimenticato nulla, il Capitano Viola. È arrivato quando Stadio aveva una storia di 27 anni alle spalle, oggi ne ha 75. E Stadio, oggi come allora, è sempre lì, accanto a lui e alla Fiorentina. Per raccontarne i momenti esaltanti, per celebrarli con le sue penne frizzanti, ma anche per castigare al bisogno, ché la sintonia con la sua gente è sempre stata totale.

IL DEBUTTO. 

E così, quel servizio scritto sul suo debutto sul palcoscenico del calcio che conta da Roberto Gamucci, «storico corrispondente della redazione fiorentina, grande amico di Riccardo Roncaglia, corrispondente di Tuttosport, che veniva a fare le interviste in bicicletta», per Antognoni è stato solo l’inizio. Lunedì 16 ottobre 1972, quarta pagina: «Il giovane perugino ha vinto disinvoltamente l’esame guadagnandosi di forza e d’abilità il posto in squadra. Esaltante il suo primo tempo, quando ha illuminato il gioco con la felice intuizione di quello che era giusto fare e di quanto invece non doveva fare. Non ha sbagliato una palla, giocandole tutte con spiccato senso di inventiva, variando gioco e passo per frastornare l’avversario. È rimasto sempre nel vivo delle azioni che ha impostato con fine intelligenza. Si dirà: ma allora è un campione! Sissignori, lo è». Giancarlo non l’ha mai dimenticato. «Avevo sempre sognato di giocare a pallone: da ragazzino giravo tra i tavoli del bar di papà che era la sede del Milan Club di zona, ma la mia testa è sempre stata lì, in campo. E Stadio ha raccontato ogni paragrafo di questa lunghissima storia, prima da calciatore e poi da dirigente, compresi i giorni vissuti in Federazione, sì, sognando davvero un ritorno a casa mia, la Fiorentina». A raccontarne le gesta si sono susseguiti in tanti. Lo ha fatto Gamucci, ma anche Ezio De Cesari «la prima firma, il giornalista importante che seguiva la Nazionale e gli eventi di punta, che da Roma viaggiava laddove ci fosse bisogno, Mondiali compresi». La colonna sonora soave, poi, è stata quella di Alessandro Rialti: «Mi ha sempre sostenuto, me e la Fiorentina, anche a costo di qualche frustata. Abbiamo camminato accanto per una vita, anche con qualche… “battibecco”. Non mi ha mai perdonato l’avergli nascosto che sarei andato a finire la mia carriera al Losanna. Scherzavo sempre, ripetendogli che gli dovevo almeno una cena. Quando poi sono passato di là da una scrivania, è riuscito sempre a starmi un passo davanti. Sapeva ogni movimento di mercato prima ancora che io riuscissi a cercare di nasconderlo». Quel giorno, la cronaca del successo della Fiorentina a Verona (1-2) era tutta dedicata a lui: «La Fiorentina scopre un giovanissimo Rivera» recitava il titolo: «Antognoni, esordiente di 18 anni, trasforma la squadra toscana che coglie un’importante vittoria in trasferta». Sono passati decenni, ma l’emozione è sempre la stessa del Giancarlo ragazzino.

LA PAURA. 

Continua Antognoni: «È stato Stadio, insieme agli altri quotidiani e alle immagini televisive, a raccontarmi gli attimi di paura figli dello scontro con Silvano Martina. L’edizione del 23 novembre 1981. Non ricordavo niente. Al mio fianco c’era mia moglie Rita: fu lei a dettagliarmi tutto, come Stadio aveva fatto con tutta l’Italia. Quel giorno ero furibondo, Stadio, anche in quel caso, aveva documentato alla perfezione l’antefatto, ovvero Italia-Grecia giocata una settimana prima, il 14 novembre. Non giocammo una partita esaltante, è vero, ma staccammo ugualmente il pass per quel Mondiale che poi avremmo vinto. Mi piovvero addosso critiche ingiustificate e Stadio era diventato il mio baluardo. Altri quotidiani erano più concentrati su squadre del nord, Stadio no, era casa mia. Uscì anche un servizio che era stato titolato con le parole di Liedholm: “Stanno distruggendo Antognoni”. Quella domenica scesi in campo arrabbiatissimo. Non mi bastava aver disegnato l’assist per Bertoni e trasformato il rigore che riportava in vantaggio la Fiorentina (segnò il 2-1, ndr), volevo di più. Nel tentativo di raccogliere il suggerimento di Bertoni, mi scontrai con Martina. Il resto l’ho letto nei giorni successivi. Quell’“Antognoni strappato alla morte” in prima pagina e dentro “Fiorentina col cuore in gola” mi fecero capire una volta di più il dramma vissuto in quel quarto d’ora maledetto, prima che lo speaker rassicurasse tutti». Fu Ezio De Cesari a immortalare il momento: «Gentile, quasi terrorizzato, si è messo le mani nei capelli. Onofri ha cominciato a piangere e voleva addirittura andarsene dal campo. Antognoni è stato trasportato in barella ai bordi del campo ed è stato necessario praticargli il massaggio cardiaco e la respirazione artificiale. Appena il giocatore ha cominciato a muoversi e a dare segni di vita, dopo cinque minuti buoni, c’è stato un applauso prolungato e scrosciante. Dieci minuti dopo i barellieri hanno fatto segni evidenti che non doveva trattarsi di nulla di allarmante. Un quarto d’ora dopo, ancora l’altoparlante ha dato la certezza che il peggio era passato. Antognoni aveva segnato quattro minuti prima dell’incidente il gol del 2-1 su calcio di rigore (fallo di Testoni ai danni di Graziani) e stava giocando una partita polemica e magistrale. Anche il primo gol fiorentino lo aveva letteralmente inventato lui, soffiando di testa la palla da sotto al naso dello stordito e sbalordito Gentile, scendendo irresistibilmente sulla sinistra e depositando un impeccabile cross sulla testa di Bertoni, pronto una volta tanto a spingerlo in gol. Dopo il primo gol dei toscani, una parte del pubblico si è rivolta contro la tribuna stampa al grido “Buffoni, buffoni” in reazione alle critiche fatte ad Antognoni dopo Italia-Grecia». Lì dentro c’era tutto: rabbia e amore, paura e rinascita, di un campione e di una tifoseria intera.

IL RITORNO. 

Il suo ritorno in campo, 119 giorni dopo l’incidente, fu come una festa. A raccontarla, quel giorno, fu Alessandro Rialti: «Quando lo speaker ha letto le formazioni, qualcuno ha pianto dall’emozione, incontenibile, difficilmente descrivibile. Non è stata fatta nessuna scritta sui muri, «per scaramanzia», diranno i tifosi accalcati ai tavolini al bar Marisa. C’era una tela viola, uno scudetto cerchiato, il magico numero 10 e la scritta “Forza professore”, primo incoraggiamento sistemato in diagonale nei pressi della zona dove successe l’incidente con Martina. E un vero serpente bianco è quello sistemato in Curva Fiesole lungo una trentina di metri: “Forza Antonio, l’inferno è finito. Il paradiso ci attende”. Riconosciuto, in tribuna, il professor Mennonna (che si occupò di Antognoni non appena arrivato all’ospedale di Careggi, ndr), è stato quasi abbracciato di forza, strette di mano e un caloroso grazie». L’empatia, tra il 10 viola e Stadio, è sempre stata totale: «Perché Stadio dava e ha continuato a dare negli anni voce alla battaglie che giocavamo in campo. Lo ha fatto nell’anno del terzo scudetto che ci scipparono, con il gol annullato a Graziani a Cagliari e il rigore inesistente fischiato a Catanzaro alla Juventus. E non si è mai fermato: quando abbiamo sollevato i trofei, e penso alla Coppa Italia attesa al Franchi da quarantamila persone davanti a un rettangolo verde vuoto, aspettando il ritorno della squadra da Bergamo, e pure nei giorni più tristi, culminati nel fallimento della Fiorentina e nel colpo di spugna a cancellarne, almeno momentaneamente, il nome. Stadio, invece, non lo fece: la Fiorentina è rimasta tale anche quando gli almanacchi l’hanno vista trasformata in Florentia Viola, perché la storia non si spazza via».

LA NAZIONALE. 

«Stadio è stato il mio paladino pure in azzurro. Mi ha accompagnato dal mio esordio, il 20 novembre 1974, contro l’Olanda. Le pagelle, quel giorno, portavano la firma di De Cesari. E io presi un bel 6,5. C’era scritto: “Primo tempo impeccabile, grinta, coraggio, autorità, conditi con il solito, inimitabile stile”». Il nastro si riavvolge fino al Mondiale del 1978, alla gara contro i padroni di casa: Antognoni è tra i protagonisti della vittoria contro l’Albiceleste nel girone eliminatorio. E Stadio è lì, a raccontarlo, anche nella finalina per il terzo posto, persa contro il Brasile, con quel palo colpito dal 10 viola ricordato anche nel servizio in prima pagina. È De Cesari, in questo caso, a chiosare l’importanza di Giancarlo nell’economia azzurra: «Al 38’ l’Italia è passata in vantaggio con un bellissimo gol: apertura di Antognoni, un Antognoni letteralmente rinvigorito e trasformato – visto che bisognava insistere? - per Paolo Rossi sulla destra: cross impeccabile e testa a botta sicura di Causio». C’è sempre Stadio a raccontare l’intervento falloso di Matysik, l’8 luglio 1982, nella semifinale contro la Polonia, che gli nega l’ultimo atto del Mondiale (vinto) spagnolo, così come è questo stesso giornale verde a celebrare la festa degli oltre 30mila del Franchi accorsi per salutare il campione, nella sua gara d’addio al calcio. «Quando all’85’ Antognoni ha salutato il pubblico, ha fatto un giro di campo e ha lasciato, anche dalla tribuna stampa abbiamo avvertito l’opportunità di alzarci e battergli le mani».

IL DIRIGENTE. 

«Non ho dimenticato l’emozione provata nel leggere le pagine del mio ritorno in Fiorentina, nel gennaio 2017, perché con la Fiorentina ho scritto la pagina più bella della mia carriera sportiva. In occasione della festa per i Novant’anni di storia del club parlai con Andrea Della Valle: dopo dodici primavere nelle giovanili della Nazionale, ho provato un’emozione incredibile. Con i viola non ho vinto scudetti, ma l’amore della gente è sempre stato il riconoscimento più bello, immarcescibile, come una statua. L’affetto dei tifosi non si compra ed è sempre stato reciproco. Scorro nella memoria i presidenti che si sono susseguiti, da Ugolino Ugolini a Rodolfo Melloni, da Enrico Martellini ai Pontello, senza dimenticare Baretti, Righetti, i Cecchi Gori, i Della Valle e oggi Rocco Commisso. È una storia d’amore lunga quasi 50 anni, che resterà per sempre scolpita nell’animo. Dalle sfide sul campo fino a quelle di mercato, dalla soddisfazione gigantesca per l’arrivo di Rui Costa fino alla rabbia per quella stretta di mano con Thuram che, evidentemente, nel Principato di Monaco non aveva il nostro stesso significato. E il bello, sono certo, deve ancora venire». Come per Stadio: insieme, passo dopo passo.


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