BOLOGNA - Il primo gesto di ruvida libertà lo ha fatto guidando a tutta dentro al parcheggio di Casteldebole, due giri, per sentire l’ebrezza della velocità. Poi Sinisa Mihajlovic è sceso dal suo Porsche Carrera, erano le 9.30, Casteldebole deserta, il cielo grigio, carico di pioggia: figuriamoci se poteva fermarlo. E’ andato alla panchina, aveva la mascherina e il berretto, lo stesso berretto che tante volte gli avevamo visto addosso nelle prime apparizioni durante le cure, e anche dopo, quando ormai il peggio era passato e lui era tornato ad allenare. Gesti lenti, quelli del Mihajlovic. Il respiro a pieni polmoni, una cura lenta ed evidente nel togliersi la felpa. Si è tolto anche il berretto, e poi ha adagiato il tutto sulla panchina. Lentamente si è messo a correre, un giro di campo, poi due, alla fine saranno quanti è possibile farne in un’ora. A metà mattina, alle 10.38, è arrivato anche Riccardo Bigon. Più che da diesse, da dirigente rossoblù, lo ha fatto da amico. Anche lui è sceso dalla macchina, si è incamminato lentamente verso il campo. Quando Mihajlovic lo ha visto ha allargato le braccia, Bigon pure: gesti di realtà dopo la quarantena. Mihajlovic ha continuato a correre per un po’, poi si è fermato a parlare con Bigon. Lo hanno fatto distanti più di un metro, quasi due. Un dialogo serrato. Bigon gli ha chiesto della famiglia, Sinisa pure. Hanno parlato di calcio, naturalmente.