Perché non si può non andare a Wimbledon

Gli appassionati di tennis devono andare, almeno una volta nella vita, a Wimbledon, in visita al più grande torneo del mondo. Nove motivi - con un consiglio finale - per affrontare questa esperienza.
Perché non si può non andare a Wimbledon© Getty Images
Massimo Grilli
6 min

Se amate il tennis e se vi piace viaggiare (ma questa seconda condizione non è indispensabile), andare a Wimbledon è una esperienza che prima o poi dovrete affrontare. Certo, Londra è una città cara ma se sapere programmarvi per tempo, troverete senza troppe difficoltà una sistemazione accessibile, magari non lussuosa ma comoda (tanto siete venuti per stare tutto il giorno a vedere il tennis, no?). E poi, se non aspettate gli ultimi giorni, un biglietto aereo andata e ritorno per Londra può costare quanto - se non meno - uno per Reggio Calabria. Lunedì e martedì scorsi io sono stato a Wimbledon per la prima volta, e il mio rammarico è non averlo fatto prima. Ecco comunque - se non foste ancora convinti - una lista di motivi per cui si bisogna affacciarsi almeno una volta nella vita sui campi di Church Road, con un consiglio finale.

- Avete passato anni a leggere che la fermata del torneo è Southfield, non Wimbledon. Ebbene, scendete dalla metro e vi ritrovate a calpestare una moquette verde, con le linee segnate di un campo da tennis. Anche le seggioline sulla banchina sono dipinte di verde e viola, i colori del club. Bene, siete arrivati a casa.

- Si gioca su diciotto campi, dalle 11.30 fino alle 21 abbondanti, se è una bella giornata. Prendete in mano l’”Order of play” e vi sentirete colti da una benefica vertigine, come quando da piccolo andavate al Luna Park (e quando ero piccolo io, al Luna Park dell’Eur forse non c’erano diciotto giochi diversi da poter fare). Probabilmente non sapete dove cominciare, sapete soltanto che sarà un’esperienza unica. Avete presente la sindrome di Stendhal?

- Se siete fortunati e siete riusciti a trovare un biglietto per il campo Centrale, è obbligatorio partire da qui, dalle 13 (locali) del primo lunedì del torneo. Gli applausi all’ingresso dei giudici di linea, poi ai raccattapalle, il tripudio per l’entrata in campo del vincitore della precedente edizione. E il verde smeraldo del campo, ancora assolutamente intonso, una vaga eccitazione nell’aria, anche il classico uccellino che ignaro si posa sul campo rischiando una racchettata, per poi essere inseguito da un goffo ball-boy. Tutto a comporre una liturgia che avete visto tante volte in televisione, ma che finalmente vi vede spettatori diretti.

- L’abuso di retorica è permesso: il pof pof della pallina sui campi, il verde incredibile dei campi - ma con questo tempo chissà quanto resisterà - i giocatori vestiti di bianco, i campi numero 2 e 3, autentici gioiellini, l’ingenuità sincera degli spettatori, sempre pronti ad un oooohhh di meraviglia. E il peso della Storia: le foto dei grandi campioni, la targa sul campo numero 18 che ricorda il match tra Isner e Mahut, il più lungo della storia del tennis (11 ore e 5 minuti). Anche tifare per gli italiani, a Wimbledon sembra meno becero rispetto al Foro Italico.

- C’è tanta gente, tantissima (oltre quarantamila solo il primo giorno). Ma quando troverete un buco per entrare a sedervi su uno dei campi secondari, beh, vedrete una partita di tennis come non l’avete mai vista, con i giocatori a tre o quattro metri di distanza. Comprenderete meglio la potenza dei colpi, vedrete chiaramente le espressioni del viso, e magari resterete ipnotizzati a guardare anche una partita tra due giocatrici di cui non sapete nulla (a me è successo con Sasnovich-Zhu).

- Wimbledon è anche “colore”: incontrerete sicuramente alcune figure a voi familiari, perché le avete viste in Tv o sulle fotografie in bianco e nero di “Cinquecento anni di tennis”. Come le signore di una certa età, capelli grigi e gonna a fiori, che fanno il tifo per Murray con la bandierina inglese in mano, o quel gentiluomo in tribuna con il cappello che sembra Buffalo Bill (è David Spearing, ed è lo Steward onorario più longevo dell’All England Club, da quarant’anni sempre al suo posto).

- Se siete feticisti del tennis, potrete soddisfare le vostre voglie comprando un tubo di “used balls”, le palline cioè utilizzate - si cambiano come saprete ogni sette giochi all’ìnizio della partita e poi ogni nove - nel torneo (sì, nel torneo!) il giorno precedente. Costano tre sterline a confezione (da tre). Attenzione invece alle palline nuove che vende lo shop: un tubo da quattro costa nove sterline, a cento metri di distanza dall’entrata un negozio vende due confezioni a otto pounds…

- Farete la conoscenza con la pignola organizzazione inglese. La “queue”, la leggendaria coda per assicurarsi uno dei biglietti ancora non venduti è regolata da norme severe (e qualcuno è disposto ad aspettare in fila anche 70 ore, come è successo in questi giorni a due signore). Mentre un depliant vi può già istruire su cosa fare per partecipare al “Public Ballot”, il sorteggio per provare ad acquistare biglietti (al massimo due, e non si può specificare il giorno desiderato) dell’edizione del 2016. Si comincia a settembre, non dimenticatelo.

- Londra è una città molto cara, lo abbiamo già detto. Ma se proprio volete distrarvi dal tennis, una puntata nel negozio Lillywhites di Piccadilly Circuis - cinque piani dedicati interamente all’abbigliamento sportivo - può riservare piacevoli sorprese. Per i calciofili ci sono magliette da gara della stagione appena trascorsa a 15 sterline, T-shirt delle squadre - le più belle sono quelle meno famose - a 9 o 11 pounds… Se avete figli maschi, rischierete comunque di spendere troppo, però…

- Consiglio finale: ANDATE DA SOLI! Stare un po’ lontani da moglie e figli non potrà che farvi bene, e poi se alle nove di sera di un lunedì di fine giugno, resisterete a guardare fino alla fine un match tra Jaziri e Jankulovski, senza sentirvi in colpa - e non sarete soli, sul campo, ve lo assicuriamo - beh, allora capirete che i soldi per questo viaggio sono stati spesi non bene, ma benissimo…


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