Doping Sharapova, l'azienda: «Il meldonium si usa 4-6 settimane non 10 anni»

Via la Nike e via la Tag Heuer e Porsche annulla gli eventi con l'atleta risultata positiva ad un controllo antidoping agli ultimi Australian Open
Doping Sharapova, l'azienda: «Il meldonium si usa 4-6 settimane non 10 anni»© EPA
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MOSCA (RUSSIA) - «Il normale utilizzo del meldonium, per chi lo usa a fini terapeutici, varia dalle quattro alle sei settimane. E non per dieci anni». Lo ha precisato, con una nota, la casa farmaceutica lettone Grindeks che produce il farmaco, di uso comune in alcuni paesi dell'ex blocco sovietico ma la cui vendita non è autorizzata in altri paesi, come Italia e Usa. Viene utilizzato contro le cefalee o come anti-ischemico, e altera il metabolismo. Può anche abbassare i valori di emoglobina, e quindi migliora la fluidità del sangue. Per questo alcuni atleti avrebbero cominciato a usarlo come coprente dell'Epo e per lo stesso motivo è finito, dal primo gennaio 2016, nella lista dei prodotti proibiti compilata dalla Wada, l'agenzia mondiale antidoping. «A seconda delle condizioni di salute del paziente - è scritto nel comunicato della Grindeks - i trattamenti a base di meldonium possono durare dalle quattro alle sei settimane. E il trattamento stesso può essere ripetuto due o tre volte nel corso dell'anno. Solo medici e addetti alla salute possono valutare se sia il caso che un paziente utilizzi il meldonium per un periodo più prolungato». La tennista Maria Sharapova ieri aveva detta di utilizzare questo prodotto da dieci anni, per curare un principio di diabete ereditario. Oggi la Grindeks ha però voluto precisare che, a suo dire, l'uso del meldonium non migliora il rendimento di un atleta ma anzi potrebbe avere l'effetto contrario. «E comunque sarebbe ragionevole raccomandare l'utilizzo del meldonium - è scritto ancora nella nota della casa produttrice - come un protettore di cellule per evitare un'insufficienza cardiaca o un danno muscolare in caso di sovraccarico indesiderato».

GLI SPONSOR LA ABBANDONANO - Gli sponsor abbandonano Maria Sharapova, finita al centro della bufera per essere risultata positiva ad un test antidoping. Dopo l'annuncio fatto dalla tennista sulla sua positività all'antidoping negli Australian Open dello scorso gennaio, prima la Nike e poi la Tag Heuer hanno deciso di sospendere il proprio rapporto di sponsorizzazione con la tennista russa. La nota casa d'abbigliamento ha precisato: "Siamo rattristati e sorpresi dalle notizie su Maria Sharapova - si legge in un breve comunicato del colosso Usa, citato dai media americani -. Abbiamo deciso di sospendere il nostro rapporto con Maria durante le indagini. Continueremo a monitorare la situazione". Anche gli svizzeri della Tag Heuer, inoltre, hanno deciso di non estendere il loro contratto. Lo riporta la Tass. La Porsche, prosegue l'agenzia di stampa russa, ha deciso di "cancellare tutti gli eventi in programma con la tennista fino al termine dell'indagine".

SHARAPOVA POSITIVA - TUTTO SUL TENNIS

SERENA WILLIAMS - Maria Sharapova "ha avuto molto coraggio" nell'assumersi la responsabilità di aver preso un farmaco proibito: sono le parole di Serena Williams che ha commentato così la notizia della positività ad un controllo antidoping della 'rivalè russa. "Spero il meglio per lei" ha detto ancora la Williams, che è stata l'ultima giocatrice ad affrontare Sharapova proprio agli Australian Open, torneo durante il quale la russa è risultata positiva al meldonium.

RABBIA TARPISHCHEV - E sul caso Sharapova è intervenuto anche Shamil Tarpishchev, presidente della Federtennis russa. Il numero 1 ha definito "insensata" la notizia della positività al doping e la conseguente sospensione temporanea della tennista da parte della Itf, la federazione internazionale. "Penso che sia una cosa insensata. Gli atleti prendono quello che i fisioterapisti consigliano loro. Credo che Sharapova avrà ancora la possibilità di giocare alle Olimpiadi, anche se bisognerà vedere gli sviluppi della situazione", ha spiegato Tarpishchev all'agenzia Itar Tass.

IL MINISTRO DELLO SPORT RUSSO - Anche il ministro dello sport russo, Vitali Mutko ha voluto esprimere il suo parere sulla vicenda. E le sue parole sono significative: "Penso, purtroppo, che ci saranno ancora altri casi" . Il riferimento è ovviamente legato all'assunzione di Meldonium da parte di atleti russi che non avrebbero ancora imparato che questo medicinale, dallo scorso 1 gennaio, è stato vietato dalla Wada, l'agenzia mondiale dell'antidoping. Anche in questo caso la notizia è riportata dalla Tass, con il ministro che ha comunque precisato di non attendersi molti casi di squalifica. "Non è un sistema, indagheremo su ogni singolo caso. Sei mesi fa - ha aggiunto Mutko - avevamo avvertito tutte le federazioni che questo farmaco era stato incluso nella liste di quelli proibiti. Ma bisogna fare chiarezza su queste cose: l'atleta non lo prende da solo. Medici, allenatori, fisioterapisti e i capi delle federazioni devono essere responsabili. La cosa più terribile è che alla fine ne risente l'atleta". Il ministro, riporta la Tass, ha poi detto che vedrà i rappresentati delle federazioni a proposito dei nuovi casi di doping. Praticamente identico al caso della Sharapova è quello della pattinatrice sul ghiaccio e campionessa olimpica Ekaterina Bobrova che non potrà partecipare ai Mondiali di Boston proprio per lo stesso motivo.

L'INVENTORE DEL FARMACO: «NON È DOPING» - L'inventore del Meldonium Ivar Kalninsh non chiederà alla Wada spiegazioni sul perché il suo farmaco sia stato incluso nella 'lista nera'. "La Wada non adduce prove, prende solo le decisioni", dice alla Tass. "Penso che in un certo senso sia diretto verso gli atleti dell'est. La Wada non ha nessuna prova scientifica che il Meldonium sia doping" ha detto Kalninsh. Anche Serghei Iliukov, medico sportivo del centro di medicina sportiva della città finlandese Kuopio, non ha dubbi e ai media russi dichiara: "Il Meldonium viene prodotto in Lettonia e utilizzato solo nei paesi post-sovietici: nello sport occidentale non se n'è mai sentito parlare. In Occidente vedono che gli atleti russi prendono qualcosa, ma non sanno cos'è e quindi deve essere per forza doping: questa è una mentalità da guerra fredda e se le ricerche su questo farmaco fossero state pubblicate su riviste occidentali non ci sarebbe stato nessun divieto".


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