© ANSA Panatta, c'è vita oltre il pof pof
ROMA - Adriano Panatta? Sarebbe davvero meraviglioso averlo per cognato, tennis e “insalatiera” a parte. Un cognato, appunto, perfetto, in possesso di un’immensa e massiccia, carica di ironia, un giacimento di ironia profonda e insieme antica, ironia romana, un cognato sempre pronto alla battuta necessaria a demolire, smantellare, obliterare ogni danno insolubile, posto che, come spiegano i filosofi, talvolta “non ci sono problemi perché non esistono soluzioni”. Panatta ovvero una creatura venuta al mondo per collaudare questa consapevolezza.
La battuta che tutto sdrammatizza, ma anche, ora che ci penso, visti i trascorsi sportivi, la battuta così che dà inizio all’Universo Assoluto del Tennis, il luogo che ha fatto di lui, Adriano, un campione smerigliato, la perfezione dei gesti, lo sport al quale ancora adesso, nonostante il peso forma sia ormai quello di un inarrivabile uomo di mondo, tra i pochi a conoscere il segreto che distingue la “gricia” dalla “carbonara”, alla cui racchetta lo si vede, come dire, crocifisso, proprio lui, Adriano Panatta. Quanto a me, detesto il tennis, lo detesto fin da bambino, c’è di mezzo un pomeriggio di Coppa Davis, quando mio padre lasciò lì in asso me e mia madre per andarsene a casa di un’amica, forse amante, pare l’abbia fatto perché rumoreggiavo, al punto da innervosire
Pietrangeli laggiù in campo, questi, infatti, scagliò la racchetta per terra e uscì dal set. Questa mia storia è stata il biglietto da visita dell’amicizia con Panatta, fiorita e perfino raccontata davanti alle telecamere de La7 pochi anni fa, un’esperienza televisiva che ci vedeva insieme ad Antonello Piroso, anche lì, nonostante l’egocentrico conduttore cercasse di mettere la sordina al talento di Adriano, cioè ridimensionarne la grazia tranquilla, anche lì Panatta brillava d’ironia, ora romana ora romanesca, ora propria dell’infanzia all’Acqua Acetosa, ora pura e semplice, un dono suo di natura capitolina. In breve, ad Adriano, fin da quei primi giorni, mi lega un prezioso sentimento amicale, al punto da immaginarlo cognato perfetto, assai più che amico, lì insieme a commentare la noia dei pranzi di nozze di famiglia, e questo benché non abbia mai fatto parte di coloro che nel tempo dorato della sua gloria sportiva ne custodivano l’adesivo, il suo viso da bellissimo ragazzo campione romano, sulla copertina del diario scolastico “Vitt”, “B.C.” o “Linus”.
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