Agassi, i 50 anni del ribelle diventato mito del tennis

La chioma da rockstar, le unghie dipinte, la droga, gli amori famosi. Poi Steffi Graf gli cambiò la vita
Agassi, i 50 anni del ribelle diventato mito del tennis© EPA
Furio Zara
5 min

Abbiamo tutti un parrucchino in testa. Diventiamo noi stessi quando ce lo togliamo. «Di ciò che posso essere io per me, non solo non potete saper nulla voi, ma nulla neppure io stesso». Vitangelo Moscarda, protagonista di «Uno, nessuno centomila», capolavoro di Luigi Pirandello. O anche: Andre Agassi, tennista. Vitangelo Moscarda comincia a sbarellare quando realizza che il padre non era un banchiere, ma un usuraio. Da quel momento in poi compie azioni che ai suoi occhi hanno un senso e uno scopo preciso, ma che al resto dell’umanità appaiono come segni di follia. Ragazzi, ricorda qualcuno? Andre Agassi bambino timido, oppresso, schiacciato dalla personalità del padre brutale e ossessivo, costretto a colpire 2.500 palle al giorno, cioè 17.500 alla settimana, cioè un milione di palle l’anno (cit. Open), e poi Kid Boy ribelle, anticonformista, «narcisista egocentrico» come lo bollano i giornalisti agli esordi, solo in mezzo a un sacco di gente, tormentato, ansioso, stravagante per posa.

Rockstar del tennis

Flash dal passato: la chioma da rockstar, le velleità metrosexual, il viso candido e la peluria orgogliosa al petto, le unghie pittate, la maglietta rosa, la salopette in jeans, di jeans pure i pantaloncini, le meches ai capelli, i ciuffi fucsia, il taglio da mohicano, la frangia a spazzola. Non odiava il tennis. Detestava se stesso. Sono i tempi in cui Ivan Lendl - sollecitato a esprimere un giudizio sul gioco di Agassi - risponde con alterigia. «Un taglio di capelli e un diritto». E’ una rockstar che gioca a fare il tennista. Ma vale anche il contario. Il tennis di Agassi sta al tennis dei «Gesti bianchi» come l’heavy metal sta alla musica classica. Prima di lui: tennisti che suonano il violino attorniati da signorini della buona società che li gratificano con impercettibili cenni del capo. Dopo: l’avete visto con i vostri occhi, quella in primo piano è una borchia. Questo per dire che per raccontare della creatura che doveva ogni giorno affrontare il «Drago sputapalle» costruito dal padre-padrone, servirebbe l’aiuto di uno psicoanalista, facciamo Massimo Recalcati, per un «Lessico Civile » calibrato a misura di campione.

La proposta di Federer

Australian Open, stop fino al 2022?

Rialzarsi

Oggi Agassi compie 50 anni. Il suo percorso umano e professionale ci ha detto tante cose. Una, per esempio: si cade, ci si rialza. E poi? Poi si cade ancora. E ci si rialza ancora. Un’altra: il suo tennis era già futuro, prima che il futuro prendesse forma. Rapidità e potenza. Un videogame fatto uomo. A diciotto anni Agassi aveva già vinto sei tornei e guadagnato un milione di dollari di premi. Nel mezzo svariati eccessi, anche la droga. Uomini che l’hanno cambiato: Brad Gilbert, Gil Reyes. Uno l’ha allenato ad affrontare gli avversari, l’altro ad accettare se stesso. Donne della vita in numero di tre, le più significative: Brooke Shields, sposata, due anni, poi stop, troppo diversi; la cara Barbra Streisand, diva di Hollywood, amicizia, qualcosa in più; Steffi Graf, l’amore di tutta la vita, madre dei suoi due figli - Jaden Gil e Jaz Elle - inseguita anche quando faceva altro, capita così. Cercate una foto di loro due su internet: sono l’immagine della felicità.

Il mito

E’ l’ora di dare contabilità della sua ventennale carriera: 60 titoli di singolare, 4 tornei vinti del Grande Slam (8 vittorie), la medaglia d’oro nel singolare olimpico, il Masters, la Coppa Davis. E’ rimasto 16 anni nella top 10, la prima volta nel 1988, l’ultima nel 2005. Ha affrontato due generazioni di tennisti. Connors, McEnroe, Becker, Lendl, Edberg, Chang, Courier, Ivanisevic, Sampras, Federer, Nadal. Ha giocato l’ultima partita a 36 anni. Us Open, 3 settembre 2006: perde al terzo turno - in quattro set - sfidando all'Arthur Ashe Stadium il tedesco Benjamin Becker. Migliore anno di Agassi, il 1995. Vince sette titoli, in aprile diventa il n.1 dell’Atp: ci rimane per trenta settimane. Si presenta agli Australian Open rasato: oh, meraviglia, allora lui non era lui. In finale batte Sampras, l’eterno rivale, il suo alter ego. Frase chiave in «Open»: «Sono il capitano del mio destino». Agassi ha trasformato un film in una vita, ha cercato se stesso dentro il mare del tormento, non fuori. E quando si è trovato: gioco, partita, incontro.


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