"Io, Berrettini, i film di Verdone e il sogno dello Slam"

Intervista al coach Santopadre che racconta il Matteo in campo e fuori alla vigilia dei tornei americani
"Io, Berrettini, i film di Verdone e il sogno dello Slam"© Getty Images
Luca Fiorino
5 min

ROMA - «La coincidenza per il treno verso Torino passa dal cemento nord-americano. Siamo arrivati a uno snodo cruciale della stagione, adesso non ci possiamo più fermare». Vincenzo Santopadre ha preparato nei minimi dettagli l’imminente trasferta che vedrà Matteo Berrettini impegnato in Canada e negli Stati Uniti. «Tre anni fa ebbe un problema alla caviglia e non scese in campo - racconta il coach del tennista romano - lo scorso anno fu fermato da un risentimento muscolare in quel periodo, nel 2020 invece il circuito si fermò a causa del Covid. Incrociamo le dita per la nostra prima volta in Canada».

Dopo i titoli di Stoccarda, del Queen’s e la finale a Gstaad, l’estate entra sempre più nel vivo.
«Abbiamo deciso in queste due settimane di non giocare per ricaricare le batterie e non compromettere la tournée americana. Siamo attesi da due Masters 1000 e dagli Us Open. Era meglio non rischiare».

L’avventura a Montreal di Matteo inizierà contro Pablo Carreño Busta.
«Lo conosciamo bene e sappiamo che non sarà un esordio facile. È un avversario ostico che sa giocare bene su tutte le superfici».



Agli ottavi di finale potrebbe affrontare Jannik Sinner. Com’è il loro rapporto?
«È ottimo. Ancora non hanno giocato insieme in Coppa Davis (Matteo si era fatto male prima dell’ultima edizione, ndr), ma spero possano farlo presto a Bologna. Sono due ragazzi con sani valori che lavorano sodo per raggiungere i propri obiettivi. Lo definirei un rapporto basato sulla stima reciproca, non solo per ciò che rappresentano dentro al campo. Ci sono molte similitudini caratteriali».

Il vostro legame fuori dal campo?
«Ormai ci conosciamo da una vita. Tutti i giocatori passano tanto tempo con i propri allenatori ed è fondamentale trascorrere le ore extra-campo in totale leggerezza. Durante i tornei parliamo di tutto: dagli argomenti di stretta attualità alle cose più divertenti. Ogni tanto ci piace guardare le scene dei film di Carlo Verdone e Christian De Sica per ridere insieme o recitare degli sketch».

Come direbbe Verdone: in che senso?
«Facciamo finta di litigare. Ogni tanto qualcuno dello staff ci prende sul serio, mentre noi ci divertiamo come matti. Se non sei sereno nella vita di tutti i giorni, non lo sei neanche in campo. Amo la spensieratezza e prendere la vita con quell’ironia tipica di noi romani».

Come vive Berrettini i risultati positivi dei suoi colleghi italiani?
«Con una sana invidia e una spinta per fare del suo meglio. I successi dei più giovani sono un motivo d’orgoglio per tutto il movimento. Vedo Matteo sempre più responsabilizzato e pronto a dispensare consigli. Anche lui è stato aiutato da chi lo ha preceduto».


Dopo la conferma quest’anno al Queen’s, l’obiettivo ora è un Masters 1000?
«Quando arrivi con buona frequenza in fondo agli Slam vuol dire che non ti manca nulla. Già dal Roland Garros dello scorso anno, Matteo ha dimostrato di essere pronto. A maggior ragione, credo abbia tutte le carte in regola per portare a casa un Masters 1000».

Wimbledon non ha assegnato punti, Shanghai non si giocherà: quest’anno nella corsa verso le Nitto ATP Finals di Torino bisogna sgomitare.
«Wimbledon sarebbe stato un torneo potenzialmente buono per Matteo, ma è risultato positivo al Covid. Per nostra fortuna poi non sono stati messi in palio punti (sorride, ndr). Shanghai invece non è stato sostituito. Esistono cose oggettive e aspetti come la prevenzione che dipendono da noi. Se gli altri giocano e noi no, significa che sono più bravi e un pizzico fortunati».

Meglio vincere uno Slam o diventare numero uno?
«Se vinci uno Slam significa che sei il numero uno di quel torneo, se sei invece il numero uno al mondo vuol dire che in quel momento sei il più forte di tutti. Dico numero uno, dai».

A quando il rientro in top 10?
«Ha già dimostrato di potersi sedere al tavolo con i più grandi, ma non dev’essere un’ossessione. Quando arrivi così in alto puoi soffrire di vertigini e porti tante domande. I dubbi però potevano esserci nel 2020, oggi non più. Se superi tanti ostacoli e rimani in top 10 per tre anni di fila qualcosa vorrà pur dire. L’importante è lavorare bene, i risultati arriveranno di conseguenza».

 

 

 


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