Sinner e Alcaraz: perché sono il futuro del tennis

Il direttore dell’Istituto superiore di formazione della FIT Dell'Edera: "Non hanno alcuna specializzazione né superficie preferita. Cambiano gioco di continuo"
Sinner e Alcaraz: perché sono il futuro del tennis© EPA
Ronald Giammò
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Qualcosa lo si era intravisto a Umago ai primi di agosto, quando in finale Jannik Sinner e Carlos Alcaraz giocarono un match di prodezze e colpi a effetto. L'impressione è poi deflagrata a Flushing Meadows dove i due giovani ai quarti hanno scritto una pagina di storia degli US Open battagliando per oltre cinque ore. John McEnroe ha detto che «il tennis sta cambiando sotto ai nostri occhi, questa è l'evoluzione del gioco». «McEnroe si riferisce alla velocità del gioco: tanto più è alta, meno è il tempo per pensare - spiega Filippo Volandri, capitano dell'Italia in Coppa Davis - Il tennis è cambiato, perché cambiano le velocità di esecuzione».

«Sinner e Alcaraz interpretano la tipologia del giocatore del futuro, universale - sottolinea Michelangelo Dell'Edera, Direttore dell'istituto superiore di formazione della Fit - e la cosa bella è che noi pensiamo che siano arrivati già al massimo delle loro potenzialità, mentre invece sono ancora in una fase didattica, di studio, che solo tra 3 o 4 anni li porterà a un livello di universalità tale da poter giocare su tutti i 320mq del campo». Dalla terra di Umago ai prati di Wimbledon fino al cemento di New York: il risultato non cambia. «Sì, è un processo slegato dalle superfici di gioco. Il fatto che a Wimbledon Alcaraz abbia faticato è dovuto alla periodizzazione dell'allenamento su quella superficie - spiega Dell'Edera - anche Jannik fino a tre anni fa giocava peggio sul verde mentre oggi ha più equilibrio, appoggi più sicuri».

Il segreto di questa evoluzione verso un tennis 3.0 per Dell’Edera risiede «sempre più nella preparazione. Oggi - prosegue - questi giocatori nei loro box hanno team di 7 o 8 persone: preparatori atletici, fisici, coach, nutrizionisti, psicologi. Si va verso una globalizzazione del gioco e anche la formazione va uniformandosi». Ivan Lendl fu il primo, ma «oggi i giocatori hanno raggiunto un'organizzazione di squadra molto alta perché il talento non è più solo quello del 'gioco' ma è anche mentale, motorio, tattico, strategico e come tale va costruito», sottolinea ancora il direttore dell'istituto di formazione superiore della Fit. E il risultato è che una volta in campo questi ragazzi «cambiano gioco continuamente, sanno rispondere agli imprevisti del match, leggono le emozioni del momento e riescono a interpretarle in ogni colpo nel migliore dei modi».

«Hanno una tenuta mentale completamente diversa rispetto a molti del passato - concorda Volandri - Sono giocatori moderni, specialmente Jannik e Carlos che provengono da percorsi solidi, mentalmente sono due giocatori diversi e questo fa la differenza nel tennis moderno».

«E' in atto un ricambio generazionale importante, dei giocatori arrivati ai quarti a New York nessuno aveva vinto un Grand Slam. La strada è tracciata e in futuro ci saranno sempre più rivalità e sfide sempre più emozionanti», chiosa Dell'Edera. Un futuro che per Volandri è «molto prossimo, già in atto, e vista la loro età è facile pensare come il loro possa essere il dualismo del domani».


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