Federer e Nadal, nell’ora dell’addio gli dei sono nudi

Due campioni che hanno segnato un’era irripetibile
Federer e Nadal, nell’ora dell’addio gli dei sono nudi© Getty Images for Laver Cup
Ronald Giammò
3 min

Ci aveva provato Roger Federer a rassicurarci. A dirci che il suo addio era stata una scelta maturata ed elaborata nei lunghi mesi d'assenza dai campi. Che non avremmo dovuto preoccuparci di lui e che sarebbe stato bene anche senza tennis. Telecamere, interviste, taccuini. Parole, gesti. Una settimana in cui perfino il dolore e il dispiacere erano apparsi puliti e ordinati, coerenti con lo stile che ne aveva contraddistinto il gioco. Aveva anche deciso come, dove e quando lasciare, Roger, privando il tennis dell’ingrato compito di decidere per lui.



Concluso, invece, l'ultimo match della sua carriera e impugnato il microfono per i ringraziamenti di rito, qualcosa ha cominciato a rompersi dentro di lui. Prima un singhiozzo, poi una pausa, un timido «I'm sorry» pronunciato a occhi bassi e infine un pianto a dirotto, lacrime che più volte hanno interrotto il suo discorso, ben diverse da quelle con cui in passato lo svizzero ha dovuto fare i conti al termine di alcune finali da lui giocate.
“Solo chi soffre, sa”, ammonivano gli antichi. E solo il pianto è la risposta che può offrire chi ha percorso fino in fondo questo cammino di conoscenza, vita o carriera che sia, entrambe accomunate dalla loro finitezza. Piangeva Federer, piangevano la sua famiglia e il suo team. Ma soprattutto, piangeva vicino a lui Rafa Nadal. Ieri avversario, rivale, antagonista. Oggi amico e "fratello", spettatore consapevole di ciò che anch'egli continua a rimandare, lottando e a cui presto dovrà infine arrendersi.

C'era qualcosa di profondamente diverso nelle lacrime di questi due campioni. Era stato Roger a volere Rafa accanto a sé per la sua ultima partita. Ed è stato Rafa ad accompagnarlo verso l'uscita. Ieri divisi da una rete, oggi seduti l'uno accanto all'altro. Mano nella mano, i volti tirati. Imbattibili sul campo, i due hanno chiuso una rivalità ventennale che solo ora - piangendo - può dirsi veramente conclusa, mitizzata, capace di trascendere lo sport perché esposta a una nuova fragilità.
Nulla di cui vergognarsi, anzi. Vederli piangere, dopo averli visti scambiarsi colpi ai quattro angoli del mondo, è stato a suo modo un gesto eroico, molto più di qualsiasi passante messo a segno in una delle loro sfide. Piangono gli eroi e così piangono i campioni. Ciglia inumidite, le loro, per cuori strizzati, i nostri. Lacrime di chi ha compreso infine che dietro ogni vittoria e ogni sconfitta c'è una partita più grande che avrà per tutti lo stesso risultato. E che ciononostante merita d'esser giocata fino al fischio finale. Magari trovando lungo la strada qualcuno con cui condividerla, capace di farci scoprire qualcosa di noi che ignoravamo. Ha detto ieri Rafa Nadal: «Roger è sempre stato l'avversario da battere. Invecchiando il nostro rapporto è migliorato perché abbiamo capito che avevamo tante cose in comune. Con il suo addio al tennis, se ne va anche una parte di me». E di noi, Rafa. Anche di noi.


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