Sinner e le polemiche per la Davis: “Non punto solo a fare soldi…”

Intervista al numero 4 del mondo: “A Malaga ci sarò. Ho battuto Medvedev grazie alle simulazioni”
Sinner e le polemiche per la Davis: “Non punto solo a fare soldi…”© Getty Images
Alessandro Nizegorodcew e Lorenzo Ercoli
7 min

ROMA - Gioia e lucidità. Consapevolezza e ambizione. Jannik Sinner, a poche ore dal successo nell’ATP 500 di Pechino, non si preoccupa di ranking, record o connazionali da eguagliare; né di controbattere alle critiche ricevute per aver rinunciato alla Coppa Davis. «La vittoria al China Open è importante - racconta il neo n.4 ATP - soprattutto per le difficoltà che ho dovuto affrontare e superare nel corso del torneo, ma è il percorso svolto giornalmente in allenamento che considero fondamentale per la mia crescita». L’azzurro sa di essere un tennista fortissimo ma ancora in costruzione, come ha più volte ripetuto coach Simone Vagnozzi negli ultimi messi. I margini di miglioramento sono tanti (ed è un bene). A Pechino ha finalmente battuto Daniil Medvedev dopo sei sconfitte in altrettante sfide.
«Perdere tante volte contro lo stesso avversario ti obbliga a cambiare qualcosa. Ma è impossibile modificare la tattica direttamente all’interno del match, è necessario provare e riprovare determinate soluzioni in allenamento».

In che modo?
«Attraverso simulazioni di punti progettate da Darren e Simone (i coach Cahill e Vagnozzi; ndc) abbiamo ricercato le migliori chiavi tecnico-tattiche per battere Medvedev, ma non solo lui. Questi allenamenti mirati mi hanno permesso di crescere molto. Ovviamente bisogna trasferire tutto ciò in partita e io sono riuscito a giocare un ottimo tennis».

Le vittorie a Toronto e Pechino sono entrambe molto significative seppur diverse. Nel primo caso, al match point, sembrava quasi si fosse tolto un peso. In Cina è parsa gioia pura. La sensazione è che la prima vittoria sia stata però propedeutica per Pechino. È così?
«È una domanda difficile. La vittoria di un “1000”, come Toronto, ha un peso specifico diverso. È stata importante perché avevo già raggiunto quest’anno ottimi piazzamenti come la finale a Miami e le semifinali a Indian Wells e Montecarlo. Mi sentivo vicino all’obiettivo e riuscire a vincere in Canada mi ha reso molto felice. Pechino invece lo considero più importante per la mia crescita, ma non solo perché ho battuto Alcaraz e Medvedev».

In che senso?
«In passato non avrei superato le avversità che si sono presentate durante il China Open. Nel primo match contro Evans non mi sentivo bene. La stessa cosa è accaduta contro Dimitrov nei quarti di finale. Con Carlos e soprattutto contro Daniil inoltre ho provato soluzioni nuove. Tutto ciò per me conta più di tutto».

Si parla tanto della sua crescita fisica.
«So che devo crescere ancora dal punto di vista atletico, ma va anche detto che a Pechino sono sceso in campo per tre giorni consecutivi: con Dimitrov ho fatto fatica, non stavo bene, ma tra semifinale e finale ho tenuto un livello molto alto anche grazie alla parte fisica. Credo che vadano fatti i complimenti al mio preparatore Umberto Ferrara, così come a Darren, Simone e a tutto il team. Stiamo riuscendo, con il lavoro, a mettere insieme tutti i pezzi del puzzle. Ogni fase della carriera di un tennista ha la propria storia».

Quanto è vicino al 100%?
«Ritengo che dovranno passare altri 2 o 3 anni per raggiungere l’apice del potenziale fisico. Il mio corpo non è ancora al massimo».

Pensa mai al passato, alla sua infanzia, ai primi maestri come Heribert Mayr o Andrea Spizzica?
«Sì, soprattutto nei momenti di difficoltà, quando non riesco a esprimermi al meglio. Mi guardo indietro, penso a tutti i passi che ho fatto, da dove sono partito. I pensieri vanno agli inizi, a quando praticavo il calcio, lo sci».

È ancora in contatto?
«Sì, assolutamente. Quando torno a casa vado spesso a trovare “Hebi” (Mayr; ndc) e durante l’anno ci sentiamo via messaggio. Le persone più importanti del mio passato, nonché del mio presente, sono però gli amici storici: mi conoscono da sempre, da quando non ero nessuno e questo per me conta tantissimo. Ho sempre piacere a intrattenermi con le figure importanti che ho incontrato nel mio percorso, come “Hebi” ma anche Riccardo (Piatti, ndc), che vedo ogni tanto a Montecarlo e con cui parlo tranquillamente».

A proposito del suo percorso: dai futures al gotha del tennis a tutta velocità.
«A volte vivere il circuito ATP sembra la normalità. Siccome giocavo bene da piccolo sembrava quasi un atto dovuto arrivare in alto, ma non è così. Anzi. È vero, è tutto molto veloce. Bisogna anche provare a godersi un po’ il momento. Per esempio qui in Cina è stato molto bello da questo punto di vista».

Ma non ha detto che nei tornei passa soltanto da circolo a hotel e viceversa?
«È vero, è così per il 99% del tempo. Ma anche vivere un torneo in un luogo dove non ero mai stato, come la Cina, porta ad avvicinarmi un po’ a una nuova cultura. Quell’1% è comunque bello, importante».

Quando le hanno detto per la prima volta che sarebbe diventato forte, magari il n.1, cosa ha pensato?
«Mi dicevano che giocavo molto bene, ma quando sei giovane non ti rendi conto di quanto lunga sia la strada. Io ho scelto di rinunciare alla carriera under 18 perché non mi interessava diventare il n.1 juniores. Ho deciso di confrontarmi sin da subito con i futures (i tornei professionistici di categoria più bassa, ne ha giocati 29; ndc). Volevo prendere punti per entrare nella classifica ATP. Il passaggio da challenger a circuito maggiore è stato invece molto veloce. Mi dicevano “sei forte” quando vincevo e “non sei forte” quando perdevo. Io sono sempre rimasto concentrato sul mio lavoro per tirare fuori, nel tempo, il 100%. Non so se diventerò numero 1, non conosco oggi i miei limiti. Nessuno lo sa. Ma se riesco a migliorare ogni aspetto del mio tennis so che posso diventare ancora più forte».

Come ha preso le critiche dopo la rinuncia alla convocazione in Davis?
«Ho preso questa decisione insieme al mio team, dopo gli US Open, per una serie di ragioni. Nella scorsa stagione arrivai in Davis da New York non al meglio, giocando male e vincendo un match su due. A volte ho bisogno di allenarmi per ritrovare la migliore forma fisica e così ho fatto quest’anno. Le critiche le ascolto, le accetto sempre, anche perché se arrivano vuol dire che sono forte. Detto ciò non sono molto d’accordo con chi ha parlato di me come un’azienda che punta solo a far soldi: ho saltato diverso tornei per allenarmi e non ho mai partecipato ad alcuna esibizione».

A Malaga ci sarà.
«Ci sarò. Le Davis Cup Finals rappresentano per me un evento molto importante».


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