Presidente, qual è il suo rapporto con Sinner?
«Lo conosco da sempre, fin da quand’era piccolo. Rapporto ottimo anche perché credo che uno dei miei pregi sia quello di non uscire mai dai miei ambiti. Non coltivo il protagonismo, io».
Come si concluderà la storia del doping-non-doping?
«Innanzitutto ringrazio chi mi ha informato soltanto poche ore prima che lo sapessero i giornali, risparmiandomi quattro mesi di agitazione e notti insonni. La ricostruzione del fatto è stata minuziosa, non è stato trascurato un solo dettaglio, logica e coerente la decisione. Sono molto sereno. Credimi, non ho trovato nessuno, neppure l’ultimo dei cretini, disposto a ritenere che Sinner si sia dopato. Lui è uno dei giocatori più corretti al mondo».
Siamo sempre più protagonisti anche con le donne.
«Il tennis sta aiutando il nostro Paese a dare un’immagine differente. All’estero non erano abituati a vedere italiani con questa intelligenza, con questa preparazione, con questa educazione».
Relativamente al tennis, intendiamoci.
«Non mi allargo, no».
Togliamoci subito il dente: tutta questa simpatia nei confronti di Giovanni Malagò che origini ha?
«Una simpatia viscerale direi. Il punto è che lui non ha ancora capito bene la differenza che passa tra un’azienda privata e un ente pubblico come il Coni. Quando dice, ad esempio, di essere insostituibile perché un anno dopo la fine del suo mandato ci sono le Olimpiadi non si rende conto che qualunque altra persona di buonsenso direbbe di non preoccuparsi, offrendo in ogni caso la propria disponibilità ad accompagnare nel migliore dei modi il nuovo presidente verso una transizione che possa essere la migliore possibile. Che poi è quello che Pagnozzi e Petrucci fecero come presidente e ad di Coni Servizi quando Malagò fu eletto. Questo significa avere il senso dello Stato e della cosa pubblica».
Un momento, il senso dello Stato a Malagò non manca.
«In questi venti anni mi sono reso conto che il Coni è un organismo con una struttura obsoleta e antidemocratica poiché consente la difesa del sistema in quanto tale e di agire per meri scopi elettorali. In tredici anni Malagò non ha fatto alcuna riforma, lasciando pensare di non avere idee e soluzioni strutturali per uno sport migliore. Si rifugia dietro le invasioni della politica, ma la politica entra in scena quando lo sport non fa quello che deve fare e non è in grado di migliorarsi da solo».
Ma non gli riconosce alcun merito? Mi sembra ingeneroso.
«È stato un buon presidente nei primi anni, ma le cose sono cambiate con l’approvazione della legge che ha autorizzato il suo terzo mandato e al contempo ha creato una lesione dei diritti garantiti dalla Costituzione a migliaia di dirigenti volontari ai quali era stata preclusa la prosecuzione della loro attività. Il secondo mandato avrebbe dovuto essere, almeno nelle intenzioni, quello delle riforme, ma da quel momento in poi lui ha perso ogni spinta riformista».