Gli inizi nel campo del condominio con papà Fabrizio, il sogno Davis, la vittoria su Wawrinka a New York e tanto altro. Mattia Bellucci, nome nuovo del tennis italiano, è pronto alla stagione della definitiva esplosione. Classe 2001, la stessa di Sinner, il lombardo da piccolo ha più volte sconfitto l’attuale numero 1 al mondo. Le loro strade, poi, hanno preso direzioni diverse. Salto triplo nel gotha per Sinner, un percorso importante ma più tortuoso per Mattia. Attualmente al numero 103 del mondo, nel 2024 Bellucci si è qualificato in tre Slam consecutivi (Roland Garros, Wimbledon e US Open), raggiungendo risultati di rilievo anche negli ATP di Washington, Atlanta e Shanghai.
Partiamo dalle sensazioni legate alla prima vittoria in un main draw Slam contro Stan Wawrinka.
«Un’emozione fortissima. Affrontavo un’icona del nostro tennis, un giocatore che aveva vinto quel torneo. Nessuno tifava per me, come è giusto che fosse; mi sono però sentito in controllo delle operazioni. Peccato non aver centrato il derby con Jannik (se avesse battuto O’Connell, Sinner e Bellucci si sarebbero affrontati al terzo turno; ndr), ma ci saranno altre occasioni».
Dal Lemon Bowl, dove raggiunse da bimbo la semifinale, alle vittorie nei Major. Tutto nasce dal campo di casa.
«Si, un campo in cemento del mio condominio, pieno di erbacce, che mio papà Fabrizio sistemò con il passare degli anni per allenarmi. Tutto è iniziato lì. Ho sempre apprezzato lo sport, l’attività fisica, ma ancor di più la competizione. Il desiderio di superare un avversario ha caratterizzato la mia crescita».
Quanto è stato importante suo padre?
«Moltissimo, sia per la mia crescita umana che professionale. Mi ha passato una grande passione per questo sport, gliene sono riconoscente. Quella pallina da tennis mi ha dato tanto e mi dà ancora tantissimo. Quando ero costretto a uscire dal campo mi mettevo a piangere, volevo sempre giocare. Ho ricordi nitide anche delle lacrime versate quando, con papà, le cose iniziavano ad andare male».
Cosa è accaduto?
«Ho dovuto prendere la difficile decisione di cambiare allenatore, lasciando mio papà e scegliendo Fabio Chiappini. Sentivo di aver bisogno di una guida tecnica differente, una ritrovata serenità e un percorso preciso su cui basarmi. In Fabio ho trovato coerenza, un filo conduttore, stimoli giornalieri volti ai miglioramenti tecnici, tattici, mentali. Sono sempre stato disordinato nella vita, Fabio mi ha aiutato a eliminare la confusione e a trovare il percorso di cui avevo bisogno».
Chi era il suo idolo?
«Rafael Nadal. Mancino, grinta, carattere, voglia di migliorarsi».
Quest’anno è arrivato il salto di qualità toccando anche il numero 100 ATP. Cosa è cambiato?
«La svolta più importante è arrivata dall’allenamento. Alcune partite ben giocate mi hanno dato consapevolezza, ma l’intensità fuori dal match è stata fondamentale. Tecnicamente, soprattutto dalla parte del dritto, e mentalmente, grazie al lavoro con Giuseppe Vercelli, sono cresciuto tanto».
Nel 2022 invece era giunto a un passo dalla Top 100, poi arrivò una crisi.
«In quel momento avevo grandi aspettative, ma non conoscevo le difficoltà che questo sport può metterti di fronte. In poche parole: ho sottovalutato la situazione. Mi sono trovato ad affrontare anche un po’ di problemi personali legate alle nuove abitudini, al lavoro, alla comunicazione con il mio coach. Ora sto cercando di strutturarmi a livello professionale e nella gestione del tempo libero».
O la gestione della benzina…
«In quel caso fu colpa di Alessandro Petrone (ride; ndr). In giro per il circuito può accadere davvero di tutto e, in una trasferta negli Stati Uniti del 2023, io, Fabio, Matteo Arnaldi, la sua fidanzata e il suo allenatore Petrone, rimanemmo senza benzina e fummo costretti a cercare una stazione di servizio. Non era così vicina…».
Quali sono le sue passioni?
«Due su tutte. Le sneakers, di cui sono appassionato dai tempi delle superiori, e abbigliamento vintage. Adoro anche i graffiti: mi piace che i muri delle città vengano utilizzati come una tela».
La Davis è un suo obiettivo?
«È un sogno, il desiderio di chiunque giochi a tennis. Spero di poter condividere la maglia azzurra con i ragazzi che hanno alzato al cielo l’insalatiera in questi anni».
Ora, in Australia, si punta alla Top100.
«A Melbourne potrei entrare in main draw con un po’ di fortuna (è fuori di 3 posti; ndr), ma sono pronto a giocare le qualificazioni. L’obiettivo non è la classifica, ma la prestazione giornaliera. Devo stare nello scambio, accettarlo, solo così potrò crescere ancora».