Un anno fa, di questi tempi, Jannik Sinner vinceva a Toronto il suo primo Masters1000 dando il via a una sinfonia lunga dodici mesi che, dal trionfo in Davis a quello del suo primo Slam in Australia, gli ha portato in dote ben sette titoli, culminando con l’approdo al numero uno del ranking ATP. Una progressione costante e inarrestabile, certificata da numeri altrettanto sorprendenti che lo pongono oggi in scia a quell’elite del tennis che negli ultimi vent’anni ne ha riscritto un perimetro inaccessibile alla quasi totalità della concorrenza presente: quella dei Big 3. Numeri che avrebbero potuto essere ancora più incredibili se l’azzurro non fosse stato fermato occasionalmente da imprevisti, contrattempi e acciacchi, che lo hanno costretto di volta in volta ai box per poi tornare in campo e ritrovare pian piano condizione e forma dei giorni migliori. Incidenti di percorso, pane quotidiano per chi è abituato a competere per oltre trenta settimane l’anno. Forieri al tempo stesso di dolorose rinunce, sconfitte dure da mandar giù e pazienti ricostruzioni lontano e dentro il campo. Il tutto gestito con lucidità, all’insegna di una programmazione orientata a una carriera ancora tutta da giocare e non al “qui e ora” dettatogli dalla frenesia incombente per il prossimo torneo in cui provare ad imporsi. Fosse anche uno di quelli a cui più teneva in questo 2024, come gli Internazionali d’Italia.
Sinner, tutti gli imprevisti
Sbarcato in Europa dopo l’exploit messo a segno nel Sunshine Double - semifinale a Indian Wells e vittoria a Miami - l’altoatesino cominciò subito a fare i conti con un fastidio all’anca che da Montecarlo a Madrid, dove si ritirò senza scendere in campo ai quarti contro Felix Auger-Aliassime, lo costrinse infine ad alzare bandiera bianca in coincidenza di uno degli appuntamenti a cui lui teneva di più, privandolo dell’abbraccio del pubblico del Foro Italico e condizionandone la marcia d’avvicinamento al Roland Garros, Slam comunque concluso con una sconfitta in semifinale contro Carlos Alcaraz. Identico il copione andato in scena d’estate sui prati inglesi. Lontani i tempi di un adattamento ancora tutto da scoprire. Il debutto infatti coincise con un altro titolo, il primo vinto sull’erba, con Halle a fregiarsi di un’esclusiva destinata a durare negli anni. A Wimbledon, dove aveva una semifinale da difendere, Sinner chiuse la sua corsa ai quarti, eliminato in cinque set da un Daniil Medvedev deciso a prendersi la rivincita - seppur parziale - dopo le cinque sconfitte consecutive incassate dall’azzurro nei mesi precedenti. Fu un Sinner che, seppur debilitato da un malessere nel corso del terzo set, non rinunciò a dar battaglia, sorvolando poi nelle dichiarazioni post match su quanto accadutogli, onesto nel tributare al suo rivale i meriti del successo.
Sinner tra i top alla vigilia degli US Open
Tre mesi molto dispendiosi, quelli a cavallo della primavera e dell’estate, appesantiti mentalmente dalla vicenda doping, sottotraccia da Indian Wells in poi, e inediti, per via di una doppia transizione che nel giro di poche settimane ha costretto tutti a far ritorno sulla terra battuta per il torneo olimpico dopo averla salutata appena un mese prima. Un appuntamento che il numero 1 del mondo aveva messo in cima ai suoi obiettivi e a cui è stato costretto a rinunciare per via di una «insopportabile tonsillite» (cit. Angelo Binaghi). Ed è, questo, il terzo stop di una stagione che lo ha visto tornare in campo dopo un mese a Montreal per poi conquistare a Cincinnati il suo 15° titolo. Per un bilancio che a oggi presenta un conto di 48 vittorie e 5 sconfitte: una percentuale di oltre il 90% di successi. Solo Federer, Djokovic e Nadal sono riusciti negli ultimi vent’anni a terminare una stagione con percentuali simili. Ricordarlo aiuta a ribadirne l’unicità. Farlo alla vigilia degli US Open, in barba a qualsiasi cabala o scaramanzia, è il modo migliore per dirsi che il meglio deve ancora venire.