Wada retro

Leggi il commento sulla sospensione di tre mesi di Sinner
Paolo De Laurentiis
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Ci voleva Sinner per inchiodare la Wada, costringendola a interpretare nella giusta direzione un regolamento antidoping medievale, come cultura e principi. Ci voleva la forza di un atleta in assoluta buonafede e straesposto, come solo il numero 1 del tennis mondiale, per costringerla a ragionare facendo di fatto marcia indietro. Già partire dalla presunzione di colpevolezza è una forzatura del mondo della giustizia sportiva, ma l’assoluta assenza della gradualità della pena non poteva andare avanti ancora per molto. Perché il punto era proprio questo: per la Wada la violazione inconsapevole di Sinner doveva portare come minimo a un anno di squalifica. Un’assurdità dalle conseguenze inimmaginabili sulla carriera di qualsiasi atleta. 

Sinner ha costretto l’antidoping mondiale a fare i conti con la realtà. La Wada ha offerto il patteggiamento sconfessando il suo stesso ricorso al Tas di Losanna perché ha capito che stava andando contro un muro. E in questo momento non può permetterselo, con le elezioni del Cio alle porte, le polemiche con gli Stati Uniti, la gestione almeno cervellotica delle positività cinesi. Rischiava di venire travolta da Sinner, perdendo di fatto anche quel residuo - molto residuo - di credibilità che le resta, aggrappandosi a un regolamento che lei stessa sta riscrivendo ma con tempi di applicazione (il 2027) clamorosamente lunghi. Per questo Sinner ha vinto, nessuno in tutti questi anni è mai riuscito a mettere spalle al muro la Wada che ha sempre riferito a se stessa. 

Possono sembrare troppi i tre mesi di squalifica, perché Sinner in realtà ha già pagato con i punti e i premi persi dopo il procedimento dell’Itia, il tribunale indipendente che lo ha di fatto scagionato. Ma tutte le rivoluzioni sono imperfette e il rischio del Tas, comunque, se pure in minima parte c’era anche per Sinner: dal punto di vista strettamente giuridico il licenziamento del fisioterapista poteva essere interpretato dalla controparte - e anche dall’arbitro, non possiamo saperlo - proprio come l’ammissione di una negligenza. Il punto di tutta questa vicenda, però, deve essere messo a fuoco con grande onestà intellettuale a costo di essere sgradevoli: per garantire uno sport pulito è sempre giusto che un atleta risponda di una sua positività e Sinner ha “fallito” due controlli antidoping. Non può non succedere niente. Ma tutti devono avere la possibilità di spiegare, ricostruire, dimostrare con i fatti la propria estraneità diretta ed eventualmente rispondere in proporzione di quella indiretta. Quello che conta veramente è che la Wada dopo aver proposto questo patteggiamento non potrà più sottrarsi a una gradualità della pena fino a oggi sconosciuta. Proprio grazie a Sinner. 


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