Vagnozzi: "Cambiare aiuta a vincere"
«In campo, l’impegno e la serietà che metto con Jannik sono identici a quelli che ho riservato a ogni mio giocatore. Poi, certo, più sali di livello e più sono i dettagli a fare la differenza. La bravura sta nel capirli. Fuori sicuramente abbiamo gli occhi di più persone addosso e, al minimo errore, vieni giudicato. Ma per me, il fatto che qualcuno abbia da ridire quando perde in finale non fa che innalzare il valore dei suoi risultati straordinari». Per un campione che non si accontenta mai, serve un coach convinto che il lavoro non finisca mai. Jannik Sinner ne ha trovati due, e non è fortuna: Simone Vagnozzi e Darren Cahill parlano la sua stessa lingua. Nel trionfo di Pechino - oltre al preparatore Ferrara e al fisioterapista Resnicoff - al fianco dell’altoatesino c’era il tecnico marchigiano. Vigile in allenamento, pronto a leggere anche i segnali silenziosi del suo allievo. In partita è il primo ad alzarsi ad applaudire una scelta giusta, anche se non porta il punto. È anche quello che può dire due parole giuste per offrire un punto di vista differente, pur consapevole dei mezzi in mano a Jannik. Sicuramente c’è tanto altro, e probabilmente le sfumature più profonde ci sfuggono e restano nel privato. Come è giusto che sia. In poco più di tre anni, Vagnozzi ha contribuito a trasformare la pesante eredità raccolta da Riccardo Piatti in un ciclo di successi che non trova paragoni nel nostro tennis. «Ricordo quando tanti dicevano che Rune fosse più avanti di noi», sottolinea Simone. E chissà che, come con tanti altri avvenimenti degli ultimi anni, non si possa presto arrivare a un “ricordo dopo la finale di New York”…
Partiamo dal principio. La finale degli US Open ha davvero cambiato qualcosa?
«La sconfitta di New York a mio parere non è così sorprendente. In quel momento Carlos stava psicologicamente, fisicamente e tennisticamente meglio di Jannik. Però non dobbiamo dimenticarci che anche lui ha vissuto cinque mesi di difficoltà, e pensare che oggi si prova a far passare Jannik come un giocatore in crisi in un anno in cui ha vinto 2 Slam e fa finale tutte le settimane. Lui sta facendo cose straordinarie. Poi, come tutti, vogliamo sempre migliorarci».
Sugli accorgimenti tecnici lascio parlare direttamente lei.
«Sa, io a volte mi sorprendo di quanto si parli di determinate cose. In alcuni momenti delle cose funzionano, in altri meno. Negli Stati Uniti Jannik non ha servito benissimo e abbiamo preso degli accorgimenti: il movimento è cambiato un giorno prima di arrivare in Cina. I primi giorni a Pechino si è adattato e poi ha servito molto bene. Poi nel gioco è chiaro vada inserito sempre qualcosa di nuovo, sennò diventiamo prevedibili. Questo non significa che Sinner debba diventare un tennista da serve and volley. Ci sono smorzate e slice, ma anche altre variazioni, che si tratti di prendere prima un lungolinea, rispondere più aggressivo, giocare un kick o andare al corpo. È semplicemente migliorarsi, non ci trovo nulla di sorprendente».
Jannik ha detto di non essersi sentito pronto a New York per quei cambiamenti, nonostante qualche avvisaglia. Quanto è diverso intervenire sul gioco di un numero 1 del mondo rispetto a quello di un ragazzo che lavora per arrivarci?
«Quando cerchi di diventare numero 1 è diverso da quando lo sei già e devi fare qualcosa per rimanerlo. Alcuni cambiamenti possono sembrare più rischiosi perché si pensa di poter perdere qualcosina. Jannik è abbastanza intelligente da capire se le nostre proposte possano essere giuste o sbagliate. Allo stesso tempo, noi dobbiamo lavorare su idee in cui lui crede, sennò non può funzionare. E a volte, anche perdere una partita serve a far capire a un giocatore che può essere il momento di mettere mano da qualche parte».
Nel 2025 c’è un match in cui sente di aver fatto la differenza?
«Il nostro lavoro si concentra più sul prima. Poi possono esserci momenti di difficoltà in cui diciamo qualcosa per permettere a Jan di vedere il match con un’altra prospettiva, ma di base lui conosce già le sue opzioni. Faccio un esempio: in finale con Tien, sul 2-2, gli ho chiesto se volesse arretrare in risposta. Mi ha detto “fammi provare ancora un gioco avanti”, e ha brekkato. È giusto che lui segua le sue sensazioni. Poi, a Cincinnati con Mannarino, gli abbiamo dato lo stesso consiglio: lo ha seguito e anche lì ha fatto break. Quindi non c’è una regola fissa».
In Italia oggi Jannik è percepito come qualcosa di più di un semplice tennista, mentre Carlos sembra essersi liberato di quella pressione. Può essere un fattore?
«Credo si tratti anche di momenti di vita. Io vedo un Carlos molto più dentro a quello che fa, forse prima lo era meno. Quando li confrontiamo ovviamente parliamo di due culture differenti, ma restano ragazzi di 22 e 24 anni sempre attenti a migliorarsi in ogni aspetto, e capaci di riuscirci. È così che hanno scavato il solco sugli altri».
C’è un giocatore che oggi le fa pensare: «Lui ci darà davvero fastidio»?
«Sono tanti ad avere il poten ziale, anche Tien lo ha. Ovviamente c’è Fonseca, anche se a me piace molto Mensik. Se non dovesse avere problemi fisici, è uno che può crescere tanto. Poi ci sono fattori intangibili. Pensiamo a Jannik: ora tutti fanno passare per normali le sue vittorie. Quando ho iniziato a lavorare con lui, tanta gente del mondo del tennis diceva che Rune era molto più avanti. Non si sa mai quanto ci si può migliorare. I ragazzi ci sono, ma poi devono fare dei passi importanti per arrivare da Jannik e Carlos».
Musetti si è avvicinato?
«In campo sta facendo qualcosa di diverso e ha vissuto un’ottima stagione. Il talento c’è, e sulla terra credo siano già tre anni che è pronto per poter fare un grandissimo risultato. Sull’erba aveva già fatto bene, e ora è in crescita sul cemento. Il potenziale lo ha».
Con Panichi cosa non è andato?
«Lui e Badio hanno fatto un ottimo lavoro. Semplicemente Jannik ha optato per un’altra strada, ma non credo ci sia nulla di strano».
Da coach ha ancora un grande sogno davanti a sé?
«Quest’anno l’obiettivo era vincere Wimbledon e ci siamo riusciti. Spero di continuare il più possibile con Jannik, vediamo quanto andremo avanti. In un futuro lontano, uno stimolo potrei trovarlo nel rifare la stessa cosa con un altro giocatore. Poi magari faccio 15 anni con Sinner e sarà lui il mio ultimo tennista. Lo spero».
Al Grande Slam ci pensate?
«Non è un obiettivo che ci siamo posti. È talmente difficile vincere uno Slam che non si può pensare di vincerne 4 senza muoversi un passo alla volta».
Per chiudere, le faccio leggere i nomi di quelli che in questi mesi sono stati considerati papabili sostituti di Cahill, qualora dovesse smettere a fine 2025. Qualcuno di plausibile?
«No, no. Io penso e spero che Darren possa continuare, quindi non abbiamo pensato a nessuno al di fuori di lui. Al momento però non ci sono ufficialità».
