Santarelli, l'intervista: "Generazione di fenomene. Ancelotti mito, Mazzanti esempio. Ora batto Velasco"

I segreti di un tecnico che trasforma tutto in oro: "Siamo nella storia, ma vogliamo diventare leggenda"
Santarelli, l'intervista: "Generazione di fenomene. Ancelotti mito, Mazzanti esempio. Ora batto Velasco"© FIORENZO GALBIATI
Giorgio Marota
7 min

Se Conegliano è l’astronave dei sogni come l’Enterprise di Star Trek, Daniele Santarelli somiglia proprio al capitano Kirk: giovane, carismatico, idealista. La sua rotta verso l’ignoto è talmente lineare che dura da otto anni lungo una strada in cui non è comparso neppure un asteroide. Sembra tutto facile: allena, gioca, vince. «Sono solo un perdente che ha imparato a gestire il successo», dice di sé stesso l’allenatore più titolato degli ultimi dieci anni. Il coach nato a Foligno fa parte di quei tecnici che non hanno il culto di loro stessi (sempre più rari) e che considerano la vittoria il frutto di un lavoro comune. Nel suo caso: giocatrici, società, staff e pubblico. «Se una di queste componenti avesse prevalso sull’altra, ci saremmo sgretolati dopo i primi trofei. Invece la magia continua». A Conegliano fanno il prosecco doc, ma tengono sotto controllo l’ebbrezza.

Dal 2017-18 ha conquistato 23 titoli. Negli ultimi 5 anni, in Italia, avete vinto solo voi: coppe, supercoppe e scudetti. C’è chi dice che la pallavolo femminile sia diventata noiosa a causa dell’Imoco.

«Siamo nella storia, ma vogliamo diventare leggenda. Quella della noia è una stupidaggine. Noi abbiamo alzato l’asticella, perché dopo ogni vittoria di Conegliano cresce l’ambizione di chi vuole detronizzarci. Guardate Novara, Milano e Scandicci. Quando Ravenna o Bergamo vivevano i loro cicli d’oro nel volley, quando la Juve conquistava 9 scudetti di fila nel calcio o quando Schumacher dominava in F1, hanno creato le condizioni per un miglioramento di sistema. Se Sinner dovesse vincere slam su slam, voglio vedere chi si lamenterebbe della monotonia del tennis».

La chiamano “Re Mida” perché trasforma tutto in oro.

«A me non piace quel soprannome. Anzi, mi reputo uno che cerca di colmare quel poco talento che ha facendosi un mazzo enorme e grazie alla generazione di fenomene che ho la fortuna di allenare».

Wolosz, Haak, Fahr, De Gennaro, Gabi, Zhu. E tante altre.

«Una squadra stellare dove ogni stella brilla per le altre. Credetemi, ci facciamo un mazzo enorme».

È mai stato contattato dalla Nazionale italiana?

«No, mai chiamato».

Velasco però ha detto che quando chiamò Barbolini e Bernardi non arrivò fino a lei perché era il migliore di tutti, lui compreso.

«Se lo dice il maestro è un onore, ma l’oro olimpico l’ha vinto lui e ora sta a me batterlo con la Turchia al Mondiale. Con la Serbia ho realizzato il sogno di vincerlo nel 2022, vorrei andare a difendere quel titolo».

Con Conegliano, intanto, sta dominando anche questa A1: 19 vittorie e 0 sconfitte. A che livello è la squadra?

«Abbiamo bisogno ancora di tempo, ma stiamo tornando su buoni livelli. Per fortuna le partite che contano devono ancora arrivare: gennaio è l’alba di una stagione. Il turnover ci sta aiutando in termini di energie. Tengo tutte sul filo».

È un perfezionista?

«Lo sono prima di tutto con me stesso, rigidissimo nell’alimentazione. Ma alleno sempre con il sorriso e odio i sergenti. Preferisco il dialogo, l’ascolto, la libertà di essere sé stessi».

Da chi ha imparato?

«Prima di tutto Mazzanti. Poi ho ammirato Guidetti e i grandi guru Ze Roberto e Velasco. Kiraly e Bernardi i miei miti da ragazzo. Quando li affronti ti senti arrivato, quando li batti sali in paradiso, poi guardi i palmares e torni sulla terra».

In un sondaggio di volleynews gli appassionati l’hanno preferita a Velasco e Lorenzetti come coach dell’anno.

«Mi inorgoglisce, però sono cose che alimentano la vanità. Pericolosissima per noi tecnici».

Si può ancora imparare dagli altri dopo aver vinto tutto?

«Si deve. Penso alla pallavolo maschile: la tecnica di muro, le assistenze, la tipologia di battuta. Nel tempo libero la studio e qualcosina rubo».

E dagli altri sport?

«Sono tifosissimo del Milan e il mio modello è Ancelotti. È un vincente, un leader calmo, un gestore di campioni. Anche io provo a far esprimere le mie campionesse senza limitarle, gestendone gli alti e i bassi. Credo sia la parte più difficile del nostro lavoro. A Gabi non devo mica insegnare un bagher, ma farle capire che, se per la prima volta in carriera a gennaio è già stata in panchina otto volte, è perché vorrei che a maggio fosse pronta a farci vincere».

Non aver avuto una grande carriera da giocatore l’ha penalizzata?

«No, mi ha aiutato perché ero più motivato ad arrivare in alto. Da giocatore ero un libero modesto, mica come mia moglie! Ho fatto fino alla B1. Ma a 43 anni mi sento quasi vecchio, con 25 anni di panchine sulle spalle».

Cosa farà da grande? I cicli finiscono?

«Oggi è difficile pensarmi lontano da qui, ma lo sport è anche questo. Sono all’ottava stagione in questo fantastico club, fatemi almeno arrivare a dieci».

Da dicembre 2019 a dicembre 2021 sono arrivate 76 vittorie in 720 giorni: cosa avete imparato dalla più lunga striscia d’imbattibilità nella storia dello sport?

«Venivamo da un momento in cui non c’erano i tifosi a causa della pandemia e cercavamo le motivazioni per fare qualcosa di bello. Il record ci ha insegnato che tutto è possibile, ma ci ha snervato. Perdere è stata una liberazione».

Allenare sua moglie, Monica De Gennaro, è altrettanto complesso? 
«Siamo due professionisti che smettono di essere complici quando entrano in palestra. Per me è sempre stato un enorme vantaggio averla come giocatrice».

Da uomo come gestisce i rapporti con un gruppo femminile?

«Mi avvicino molto al modo di essere delle donne, gli uomini danno molta meno importanza ai particolari. Le donne sono molto più attente e sensibili, pesano gli atteggiamenti e le sfumature. E sono delle stakanoviste vere».


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