Matteo Cavagnini: sport e ricerca importanti come una terapia

Ll leader della nazionale italiana di pallacanestro in carrozzina ha ripercorso la propria esperienza, sportiva e non, fatta di due partecipazioni alle Paralimpiadi nel 2004 e nel 2012 e raccontato il successo più importante, quello ottenuto contro il trauma seguito all’incidente stradale del 1989, che gli ha cambiato per sempre la vita.
Matteo Cavagnini: sport e ricerca importanti come una terapia
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Riepilogare tutto il suo albo d'oro è un compito ciclopico, anche se lui precisa ogni volta che nel corso di una lunghissima carriera, anche quando questa è gloriosa, le sconfitte sono sempre più numerose dei trionfi. Matteo Cavagnini ha rilasciato una bella intervista a Radio Cusano Campus, una intervista in cui il leader della nazionale italiana di pallacanestro in carrozzina ha ripercorso la propria esperienza, sportiva e non, fatta di due partecipazioni alle Paralimpiadi nel 2004 e nel 2012 e raccontato il successo più importante, quello ottenuto contro il trauma seguito all’incidentestradale del 1989, che gli ha cambiato per sempre la vita.

Un successo, quello che Matteo Cavagnini ha raccontato all’emittente radiofonica dell’Università Niccolò Cusano, caratterizzato da una carriera eccezionale (iniziata nel lontano 1992 e tuttora in corso) e dalla dedizione ai valori più elevati dello sport, valori che l’Università Niccolò Cusano (linkabile www.unicusano.it)– in particolar modo in quest’inserto in allegato al Corriere dello Sport-Stadio – porta in primo piano per supportare la ricerca medica e scientifica.

“Come sono diventato il numero uno del basket in carrozzina? Numero uno è un po’ esagerato, la pallacanestro è uno sport di squadra e da solo non sarei mai riuscito ad arrivare ai livelli che ho raggiunto”, ha precisato Cavagnini su Radio Cusano Campus, elogiando la sua famiglia e i suoi compagni di squadra: “Devo molto alla mia famiglia e ai miei compagni: gli sport collettivi sono fatti così, si condividono le gioie ma soprattutto i sacrifici”.

Nel corso della lunga intervista rilasciata alla radio dell’Università Niccolò Cusano, Cavagnini ha parlato anche dell’importanza sempre maggiore che lo sport paralimpico sta guadagnandosi: “Non è tanto in crescita lo sport paralimpico in sé, è in crescita l’attenzione dei media per questo movimento. Negli anni Duemila siamo stati la nazionale più vincente ma pochi lo sanno o sembra che lo scoprano solo adesso: il trend si è invertito dopo Londra, le Paralimpiadi del 2012 sono state la bolla che ha fatto avvicinare l’opinione pubblica e i mezzi di comunicazione a questo mondo.

Sono molte, secondo Cavagnini, le prospettive del basket in carrozzina nel nostro Paese. Così le ha descritte a Radio Cusano Campus: “Il nostro non è uno sport facile e questo lo stiamo pagando,  ci sono diversi fattori con cui un ragazzo disabile deve confrontarsi, dalla carrozzina al pallone ai vari schemi di gioco, per cui l’approccio non è semplice. Negli ultimi anni, poi, ho notato un  vuoto generazionale, che ora, però, sta andando colmandosi e non a caso la nazionale Under 22 ha portato a casa un bronzo all’ultimo Europeo. Un ringraziamento particolare va alla Federazione Italiana di Pallacanestro in Carrozzina e al suo presidente Fernando Zappile, per l’impegno profuso nella promozione di questa disciplina”.

Cavagnini, poi,ha speso parole d’elogio per l’iniziativa dell’Università Niccolò Cusano, molto attenta alla sensibilizzazione, tramite lo sport, della ricerca medico scientifica: “Quella di far andare di pari passo sport e ricerca è un’idea fondamentale. Faccio un esempio: io gioco per il Santa Lucia, la squadra di un Istituto di ricovero e cura a carattere scientifico con sede a Roma. Spesso i dottori vengono in palestra per intervistarci o fare dei test: la struttura ha sposato la teoria della sport-terapia, ovvero dello sport come metodo riabilitativo più efficace per superare un trauma o una situazione di disagi. Lo sport è importantissimo per un disabile. Nel mio caso mi ha permesso di uscire da un periodo di crisi post-trauma, non è stato facile accettare a 14 anni un cambiamento così importante. Ma la pallacanestro, i compagni di squadra, il confronto quotidiano con altre disabilità mi hanno consentito di ritrovare la voglia di pormi degli obiettivi, di recuperare la fiducia in me stesso”


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