Antonio La Torre: "I nostri eroi feriti, ma l'atletica c'è"

Un anno dopo i trionfi di Tokyo l’Italia sbarca negli Usa per il Mondiale. Il d.t. azzurro spiega cosa è cambiato da una stagione all’altra
Antonio La Torre: "I nostri eroi feriti, ma l'atletica c'è"
Franco Fava
6 min

«I nostri eroi olimpici sono feriti. Giocheremo in difesa ma non facciamoci prendere dall’isteria se dai cinque ori di Tokyo passeremo a zero medaglie». Le incognite di Marcell Jacobs e Gianmarco Tamberi, i lampi degli staffettisti che illuminarono le notti magiche giapponesi evaporati in questa torrida stagione post-olimpica e la nostra marcia trionfale a Sapporo oggi azzoppata. A due giorni dai Mondiali di Eugene, in Oregon, e un anno dopo i fasti olimpici, l’atletica azzurra affronta una complicata rassegna iridata con mille interrogativi e qualche certezza: il movimento di vertice soffre, ma l’emergere di nuove leve lascia un barlume di ottimismo in vista di Parigi 2024. 

Il professor Antonio La Torre, illuminato direttore tecnico azzurro, fa il punto sullo stato di salute dei nostri a poche ore dalla kermesse iridata, che vedrà impegnati 1.900 atleti di 192 nazioni. 
 
Tokyo è solo un ricordo? 
«Non voglio mettere le mani avanti, ma come riportato nella mia relazione di fine settembre, quando ancora si festeggiava il bottino record, la nostra stella polare era e resta Parigi 2024. Il movimento va giudicato nel suo insieme e se pensiamo che i prossimi Giochi ci saranno tra meno di 750 giorni, mi si accappona la pelle». 
 
Sì, intanto c’è Eugene. 
«Che non è l’unico appuntamento clou, questa è una estate intensa oltre che complicata dallo stato di salute di alcuni nostri big: abbiamo appena mietuto successi ai Giochi del Mediterraneo e ai Mondiali allievi con l’esplosione del baby fenomeno Davide Furlani (doppio oro nel lungo e nell’alto; ndr) e con le vittorie delle staffette veloci. Sono arrivati segnali importanti per il dopo Eugene. Ai primi di agosto i Mondiali U.20 e da Ferragosto gli Europei di Monaco di Baviera. In meno di due mesi avremo impegnati 700 atleti». 
 
Intanto ci sono i Mondiali, va bene non farsi illusioni ma... 

«L’ho definita la maledizione dei finalisti olimpici e non ha colpito solo noi. Sarà un Mondiale difficile per tutti un anno dopo Tokyo e a un anno da un altro Mondiale. Ricordo quando allenavo Brugnetti, un mese dopo l’oro olimpico ad Atene 2004 nella 20 km di marcia fu colpito da una microfrattura, proprio come è successo ad Antonella Palmisano. Idem ai finalisti olimpici Battocletti, Crippa e Sibilio, che aveva nelle gambe il record europeo dei 400 piani prima dell’infortunio a Rieti. Senza contare Weir, quinto nel peso a Tokyo, che ha accusato la frattura di un dito della mano in gara. Un fatto più unico che raro. Per questo giocheremo in difesa». 
 
Parliamo di Tamberi, il primo a entrare in azione con la qualificazione venerdì (le 19.10 in Italia): anche lei è intervenuto per ricucire lo strappo con il papà allenatore Marco. 

«Non è mai facile intervenire nelle dispute tra padre e figlio. Ma ho sempre ritenuto che Marco fosse insostituibile per le sue competenze. Mi sono impegnato a non far mancare il totale appoggio all’atleta. Gimbo è in Oregon da giovedì. E’ un combattente e per sua natura non si sottrae mai alle sfide, anche le più temerarie». 

Per Marcell Jacobs maggio e giugno sono stati un incubo, prima l’infezione intestinale a Nairobi poi l’infortunio muscolare, si presenta a Eugene con le sole uscite di Savona e Rieti senza mai essere sceso sotto i 10 secondi sui 100. 
«Si allena in Oregon da più di una settimana, purtroppo si è fatto male in un punto cruciale fortemente sollecitato all’uscita dai blocchi. Ha però nelle gambe un gran lavoro, che già quest’inverno ha dato i suoi frutti con il titolo iridato indoor sui 60 a suon di record europeo. A Belgrado ha affrontato e demolito Coleman, il re della specialità, il confronto lo esalta. Anche il primatista mondiale e oro olimpico a Tokyo dei 400 ostacoli, il norvegese Warholm, va a Eugene reduce da un infortunio». 
 
Ma così tanti infortuni non sono sospetti? 
«Trent’anni fa, con tutto quello che gli è capitato, Jacobs lo avremmo rivisto in pista solo la stagione successiva. E’ stato assistito praticamente giorno e notte dal team del dottor Billi, responsabile sanitario Fidal. L’assistenza è stata massima per tutti». 
 
Si dice che più di uno dei nostri big sia stato ripetutamente colpito dal Covid nelle ultime settimane, ma che la comunicazione dei rispettivi team di appartenenza non abbia voluto pubblicizzare le positività. 
«No comment. In questi casi prevale la privacy». 
 
Come immagina una 4x100 senza Jacobs? 
«Vorrei rivedere lo stesso spirito di Tokyo. Il quartetto di Di Mulo andrà rimaneggiato, ma non necessariamente per l’assenza o meno di Marcell. Non sottovalutiamo che nella prova individuale dei 100 c’è anche il giovane Ali». 
 
Prima di Tokyo le sue uniche certezze erano Gimbo e la marcia, ora per Eugene? 
«E’ vero, sarei disonesto oggi a dire che in Giappone mi attendevo cinque ori. Dico solo che bisogna stare con i piedi a terra e avere molto coraggio. Per questo non parlo di medaglie». 
 
Da chi vorrebbe essere stupito? 
«Nel triplo Dallavalle può essere protagonista, come la Vallortigara nell’alto, la Fantini nel martello: sono tra i primissimi posti nelle graduatorie stagionali. Poi Sabbatini e Bellò nel mezzofondo veloce femminile. Non è detto che saremo costretti a giocare in difesa su tutti i fronti».


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