Nibali, il fenomeno della porta accanto

Il bellissimo Tour vinto da questo siciliano umile e sfrontato insieme, è l’antidoto migliore ai veleni pallonari che abbiamo dovuto ingoiare nelle ultime settimane
Stefano Barigelli
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ROMA - Molto meglio il giallo di Nibali di quello delle banane di Tavecchio. Il bellissimo Tour vinto da questo siciliano umile e sfrontato insieme, è l’antidoto migliore ai veleni pallonari che abbiamo dovuto ingoiare nelle ultime settimane. Un regalo per lo sport italiano, non si sa quanto meritato ma, proprio per questo, benedetto. Certo il ciclismo si porta dietro l’aurea di disciplina malata: Pantani, Armstrong, Landis, Contador, Di Luca, Ballan e la lista dei casi doping potrebbe continuare. Dobbiamo dunque credere a Nibali? Questa la domanda che si passionati quando hanno capito che un italiano lì in Francia stava compiendo un’impresa. La sua storia dice di sì, che dobbiamo crederci. Forse dobbiamo farlo senza quell’ipocrisia di cui spesso sono state lastricate le strade del ciclismo. Gli epici cantori di Pantani divennero il giorno dopo M adonna di Campiglio, nel Giro del ‘99, i suoi nemici più spietati. Dunque crediamo a Nibali come crediamo a qualsiasi altro grande atleta che compie un’impresa. Come crediamo ai fulminanti cento metri di Bolt o alle rimonte di Nadal. Crediamoci senza l’epica, la fede e altre categorie ultraterrene.

Lo sport è un grande fatto della vita, dunque di cronaca. E siccome la vita è sempre ricca di incroci bizzarri, pochi mesi dopo la lapidazione di Pantani, un ragazzino senza orecchini né tatuaggi vinse strabiliando la Coppa Mazzola Valli in Toscana. Alla fine Vincenzino Nibali, era lui il ragazzino, disse tutto emozionato di essere felice e spiegò di aver vinto grazie a quel percorso «molto bellissimo». Ringraziamolo allora per questo Tour che ci ha fatto dimenticare disfatte e banane. Les italiens sono tornati a comandare a Parigi dietro a un siciliano orgoglioso e testardo a capo di una squadra kazaka. L’ha fatto dopo aver dominato in salita e in pianura, attaccando sempre, senza calcoli. Come gli altri cinque che prima di lui avevano conquistato le tre grandi corse a tappe: Tour, Giro e Vuelta. E’ stato un crescendo emozionante, straordinario. E’ stato molto bellissimo.

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