MILANO - In morte di Cesare Maldini, il rischio della celebrazione retorica può essere schivato rendendo omaggio non solo e non soltanto al grande campione; a un simbolo mondiale del Milan e della scuola degli allenatori italiani, sublimata dall'avventura mondiale al fianco di Bearzot; dai tre, consecutivi titoli europei firmati guidando l'Under 21; dai mondiali '98 infrantisi sulla traversa colpita da Di Biagio; dall'esperienza di ct paraguaiano. Capitano del Milan che alza la Coppa dei Campioni al cielo sopra Wembley; orgoglio granata con Nereo Rocco nell'ultimo anno di carriera prima di ritirarsi; padre di Paolo, autentico mito del calcio mondiale, suo tecnico in rossonero e in Nazionale; allenatore dell'emergenza quando il Milan esonera Zaccheroni; capo degli osservatori sino a otto anni fa; nonno di Christian e Daniel, i figli di Paolo che stanno crescendo nel settore giovanile rossonero: quanti ruoli ha ricoperto e quanto amore, quanta passione, quanta saggezza mista alla bonomia Cesare ha profuso nella sua vita, esaltata dalla splendida tribù di cui è stato il capo. Il dolore e il lutto del Milan e dei milanisti sono il dolore e il lutto di chi Cesare Maldini ha ammirato, applaudito, rispettato, anche se milanista non è.