Giovanni Muroni, il tecnico più anziano d'Italia: «Io, a 80 anni in panchina»

Allena in Eccellenza. Sardo, classe 1936, con il suo Atletico Uri sogna la Serie D: «L'incontro con Bernardini mi cambiò la vita»
Giovanni Muroni, il tecnico più anziano d'Italia: «Io, a 80 anni in panchina»
Valerio Albensi
7 min

ROMA - Tutto merito di Fulvio Bernardini. «Un giorno mi disse: “Giovanni, prendi il patentino di allenatore perché secondo me sei portato. Puoi sempre lasciarlo dentro a un cassetto della scrivania”. Sono passati 42 anni e dentro a quel cassetto devo ancora mettercelo». A novembre Giovanni Muroni compirà 80 anni: è l’allenatore in attività più anziano d’Italia. Tre volte alla settimana dirige gli allenamenti dell’Atletico Uri, squadra del campionato di Eccellenza sarda, poi alla domenica prende il suo posto in panchina per la partita. Passano le stagioni, ma lui resta un vulcano di energia e di entusiasmo. Nella sua bacheca ci sono 12 campionati conquistati tra la Sardegna e la Liguria, in varie categorie, più o meno uno ogni quattro disputati. Vincere aiuta a ringiovanire. L’ultima scommessa è l’Atletico, che quattro anni fa prese dalla Seconda Categoria e ora può addirittura portare in Serie D: da neopromossa, con due giornate di anticipo, la sua squadra ha guadagnato i play off dopo un campionato favoloso. «Siamo i commessi viaggiatori della zona», dice con una battuta Muroni. L’Atletico è un piccolo miracolo. Porta il nome di un comune di tremila abitanti della provincia di Sassari, ma per gli allenamenti e le partite viene ospitato da altri due centri della zona, Ossi e Usini, che mettono a disposizione strutture adeguate alla categoria. «Nonostante le difficoltà, abbiamo circa 200 abbonati». Muroni aveva detto basta, poi è arrivato l’Atletico. «Dopo la morte di mia moglie, per il dolore, decisi di smettere e di chiudermi in casa - ricorda l’allenatore - ma le mie figlie mi convinsero che non aveva senso. Arrivò l’Uri, ero perplesso, poi la moglie del presidente disse una frase che mi colpì: “Mister, anche noi abbiamo il diritto di salire”. In quel momento scattò qualcosa e accettai. Oggi siamo alla terza promozione, puntiamo alla quarta». L’ennesima soddisfazione di una vita spesa per il calcio «e per i calciatori»

IL DOTTORE - Diventò ufficialmente allenatore nel 1974, nell’anno in cui l’Olanda di Johan Cruyff cambiava questo sport per sempre. Fu l’incontro con Fulvio Bernardini, il Dottore, a trasformargli la vita. Muroni si emoziona ancora quando lo ricorda: «Vinsi il concorso alla Banca d’Italia ed entrai come funzionario. Per anni, partecipai ai tornei nazionali dei bancari in cui c’erano anche molti ex giocatori. Insieme con il nipote di Bernardini, girai l’Italia. In Liguria conobbi il Dottore, che allenava la Sampdoria e spesso veniva a vederci. Un giorno lui mi disse che dovevo prendere il patentino perché mi vedeva portato e così iniziai». Banca e pallone. Nel frattempo, il mondo del calcio si rivoluzionava, in campo e fuori. C’erano una volta le maglie di lana e l’odore di olio canforato negli spogliatoi. «Questo sport era bello un tempo e per fortuna lo è ancora. Sono cambiate le metodologie di allenamento e i ritmi. Una squadra di Serie A di 40 anni fa oggi perderebbe contro una qualsiasi formazione di Lega Pro o addirittura di Serie D». I calciatori invece sono sempre gli stessi. «Odio i luoghi comuni, io non ho avuto mai problemi con i ragazzi. È perché ho sempre cercato di essere un riferimento anche dopo l’allenamento. A Castelsardo, nel 1993, prima di una gara in Serie D, guardai i giocatori negli occhi e dissi: “Andate in campo e divertitevi”, poi aggiunsi “con responsabilità”. In quello spogliatoio c’erano calciatori che erano stati tra i professionisti. Forse mi presero per matto, ma facemmo un campionato stupendo perdendo solo due partite». Ricorda quella volta in cui sfidò Pierino Prati, ex attaccante di Milan e Roma che guidava la Gallaratese in Serie D: «È rimasto un amico anche a distanza di anni. Disse che sarebbe arrivato sopra di me perché aveva i calciatori più forti, ma si sbagliava: finì otto punti dietro». 

LA SEMIZONA E SARRI - Il suo calcio non è integralismo «perché non ci sono regole fisse e uniche. Ogni partita è diversa dalle altre, cambia l’avversario». Per restare al passo, bisogna aggiornarsi continuamente. Muroni è meticoloso. «Leggo tanto, ho la cantina piena di riviste specializzate e di libri. Grazie alle videocassette scoprii una squadra sudamericana che giocava un calcio spettacolare senza fare pressing. Cercai di capirne i segreti e fui tra i primi a introdurre una semizona, con due marcatori e un libero. Mi aiutò a vincere parecchi campionati. In generale, mi piacciono gli allenatori che dicono in maniera semplice ciò che sentono. Bernardini era così, Sacchi fu un innovatore. Sarri? Conosce il calcio e lo sta dimostrando»

GENERAZIONI DI TALENTI - Il calcio come una missione al servizio di quattro generazioni di talenti. «A Castelsardo notai Antonio Langella, che fece una grande carriera e arrivò in Nazionale. Ma la storia che mi rende più orgoglioso è quella di Samb Falou, ragazzo senegalese di 19 anni che non aveva mai giocato a pallone e che ora è al Mantova, in Lega Pro, in prestito dal Genoa. A 16 anni faceva il venditore sulla spiaggia, non aveva niente: lo abbiamo iscritto a scuola e tesserato con l’Atletico, poi ha spiccato il volo». 

SCOMMESSA DA VINCERE - L’avanzare dell’età lo ha aiutato a essere più distaccato dalla materialità delle cose, a dare importanza alle emozioni. «Lo sport è sacrificio, la speranza è che i giovani non prendano quelle strade tortuose che ci sono in ogni angolo. Il sorriso sul volto di un ragazzo è la soddisfazione più grande. Sapere che va anche bene a scuola raddoppia la felicità». Il 23 novembre Muroni compirà 80 anni. Il pensiero di smettere un giorno non lo spaventa. «E perché mai? La natura mi ha aiutato, so benissimo che tutto ha una fine, potevo chiudere 15 anni fa. Al compimento del 65° anno di età ricevetti una fredda lettera della Federazione in cui mi comunicava che non avrei più potuto allenare a causa del sopraggiunto limite di età. Un’ingiustizia. Contattai Renzo Ulivieri e gli chiesi di battersi affinché questa clausola fosse eliminata. Così fece». C’è ancora una sfida da vincere. «Molti anni fa, con una battuta, dissi che avrei smesso dopo avere vinto tanti campionati quanti sono i calciatori in campo. Ora che sono arrivato a dodici dico: gli undici più le tre riserve. Me ne mancano ancora due».


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