LONDRA - "Non c’è un altro posto del mondo dove l’uomo è più felice che in uno stadio di calcio", diceva Albert Camus. Eppure non è sempre e semplicemente così a quanto pare: la storia di Martin Bengtsson, classe ’86, svedese dal piede d’oro, un talento puro, racconta chi l'ha visto giocare, è un esempio emblematico di come la diversa sensibilità di ogni essere umano possa condurre a guardare con ribrezzo ciò che per tanti altri, invece, sarebbe il sogno di una vita.
DAL SOGNO ALL'INCUBO - Debutta e stupisce tutti, ma poi, pian piano, lo sguardo di quel ragazzo comincia a brillare sempre meno, fino a diventare spento, mesto, angosciato. Come se non bastasse arriva un infortunio al ginocchio, e la sua mente si riempie di brutti pensieri: "E 'iniziato con un infortunio al ginocchio, alla fine della prima stagione all'Inter. Durante questo periodo, non potendo giocare a calcio, ero solo sul divano. Senza il calcio non sapevo cosa fare, perchè quando si gioca a calcio a questi livelli, l'unica cosa a cui si pensa è al pallone e a come migliorasi come calciatore. Io, invece, avevo bisogno di qualcuno con cui parlare, e non solo per sentirmi dire che dovevo impegnarmi di più e pensare positivo".
IL TENTATIVO DI SUICIDIO - E' un normale giorno di studio/allenamento nel centro giovanile dell’Inter, quando il ragazzo svedese decide di mettere su un disco di David Bowie, prendere un rasoio, e tagliarsi le vene: "Ho preparato i rasoi in bagno la sera prima, penso fosse il 21 settembre, l'indomani mattina mi sono tagliato i polsi". La donna delle pulizie prima e i medici del Niguarda poi, lo salvano, lo rimettono in sesto e gli permettono di poter così affrontare il suo vero avversario, la depressione. L'ex calciatore, ora trentenne, racconta che anche dopo il tentativo di suicidio, il personale dell'Inter non seppe aiutarlo come lui si aspettava: "Hanno mandato un terapeuta nella mia stanza che disse: 'E' così strano; hai tutto ciò che si può desiderare nella vita, tutto. Sei un calciatore in uno dei più grandi club del mondo, guadagnerai un sacco di soldi, avrai una bella macchina ', avrai tutte le donne che desidererai'. In quel momento ho capito come la gente guarda i giocatori di calcio. Questa è la loro idea, quella di una vita perfetta. Perfetta o meno non faceva per me" .
QUELLA NUBE TOSSICA -Proprio quando era giunto il suo momento di salire sul palcoscenico, di diventare uno dei protagonisti del reality più bello del mondo, Martin non è riuscito a dribblare l'avversario più duro, quella nube tossica e invisibile chiamata depressione: "Mi piacerebbe poter dire con una certa sicurezza che i miei demoni siano spariti per sempre, ma ho imparato che nella vita non si può mai dire mai. Il mondo del calcio era troppo stretto, si può diventare un giocatore migliore e, probabilmente, un multimilionario, ma per me non era abbastanza interessante. Non era abbastanza".