Bengtsson: all'Inter ho tentato il suicidio

La storia del talento svedese classe '86 che militava nelle giovanili dell'Inter, la cui ascesa calcistica venne interrotta da una forte depressione
Bengtsson: all'Inter ho tentato il suicidio
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LONDRA - "Non c’è un altro posto del mondo dove l’uomo è più felice che in uno stadio di calcio", diceva Albert Camus. Eppure non è sempre e semplicemente così a quanto pare: la storia di Martin Bengtsson, classe ’86, svedese dal piede d’oro, un talento puro, racconta chi l'ha visto giocare, è un esempio emblematico di come la diversa sensibilità di ogni essere umano possa condurre a guardare con ribrezzo ciò che per tanti altri, invece, sarebbe il sogno di una vita.

Bengtsson a soli 15 anni milita già nella Prima Divisione del suo Paese, e gli occhi dei talent scout di mezza Europa sono puntati su di lui. A 17 arriva la grande occasione: i grandi club europei si battono pur di convincere il giovane calciatore a firmare per loro, e dopo un provino all'Ajax, a spuntarla è l'Inter. "Da quando avevo 7/8 anni ho sempre avuto un obiettivo ben chiaro, quello di giocare al Milan, ma alla fine firmai per l'Inter" racconta Bengtsson in un'intervista rilasciata al Sun. E' il 2004 e Martin giunge a Milano pieno di aspettative e con lo sguardo colmo di vita di chi, così giovane, vede i propri sogni avverarsi: "Il mio unico obiettivo era di diventare un calciatore e tutta la mia vita girava intorno a quello. C'era solo calcio".

 

DAL SOGNO ALL'INCUBO - Debutta e stupisce tutti, ma poi, pian piano, lo sguardo di quel ragazzo comincia a brillare sempre meno, fino a diventare spento, mesto, angosciato. Come se non bastasse arriva un infortunio al ginocchio, e la sua mente si riempie di brutti pensieri"E 'iniziato con un infortunio al ginocchio, alla fine della prima stagione all'Inter. Durante questo periodo, non potendo giocare a calcio, ero solo sul divano. Senza il calcio non sapevo cosa fare, perchè quando si gioca a calcio a questi livelli, l'unica cosa a cui si pensa è al pallone e a come migliorasi come calciatore. Io, invece, avevo bisogno di qualcuno con cui parlare, e non solo per sentirmi dire che dovevo impegnarmi di più e pensare positivo".

La vita di un giovane calciatore non è come quella degli altri coetanei: non ci sono feste, uscite fino a notte fonda e sortite in discoteca. E' una vita fatta di allenamenti, studio e orari programmati: "Molti calciatori dicono che quella vita è come una prigione, senza libertà di movimento. Io avevo voglia di uscire, e mi capitava di chiedere se potevo andare in città per comprare una chitarra, per avere qualcosa da fare, mentre non giocavo a calcio. Ogni volta continuavano a ripetermi 'domani', 'domani'. Io avevo capito che quella vita non faceva per me, ma ero troppo orgoglioso, probabilmente, per dire solo 'ciao, io non sono fatto per questo'. Mi vergognavo troppo e questa vergogna mi ha condotto a pensare che la soluzione fosse togliermi la vita".

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IL TENTATIVO DI SUICIDIO - E' un normale giorno di studio/allenamento nel centro giovanile dell’Inter, quando il ragazzo svedese decide di mettere su un disco di David Bowie, prendere un rasoio, e tagliarsi le vene: "Ho preparato i rasoi in bagno la sera prima, penso fosse il 21 settembre, l'indomani mattina mi sono tagliato i polsi". La donna delle pulizie prima e i medici del Niguarda poi, lo salvano, lo rimettono in sesto e gli permettono di poter così affrontare il suo vero avversario, la depressione. L'ex calciatore, ora trentenne, racconta che anche dopo il tentativo di suicidio, il personale dell'Inter non seppe aiutarlo come lui si aspettava: "Hanno mandato un terapeuta nella mia stanza che disse: 'E' così strano; hai tutto ciò che si può desiderare nella vita, tutto. Sei un calciatore in uno dei più grandi club del mondo, guadagnerai un sacco di soldi, avrai una bella macchina ', avrai tutte le donne che desidererai'. In quel momento ho capito come la gente guarda i giocatori di calcio. Questa è la loro idea, quella di una vita perfetta. Perfetta o meno non faceva per me" .

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QUELLA NUBE TOSSICA -Proprio quando era giunto il suo momento di salire sul palcoscenico, di diventare uno dei protagonisti del reality più bello del mondo, Martin non è riuscito a dribblare l'avversario più duro, quella nube tossica e invisibile chiamata depressione: "Mi piacerebbe poter dire con una certa sicurezza che i miei demoni siano spariti per sempre, ma ho imparato che nella vita non si può mai dire mai. Il mondo del calcio era troppo stretto, si può diventare un giocatore migliore e, probabilmente, un multimilionario, ma per me non era abbastanza interessante. Non era abbastanza".

 


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