La vittoria di Inzaghi e dei dirigenti

La Lazio si è aggiudicata la più straordinaria, romanzesca, appassionante Supercoppa italiana, vincendo due volte contro la Juve
La vittoria di Inzaghi e dei dirigenti© LaPresse
Alessandro Vocalelli
4 min

ROMA - La Lazio si è aggiudicata la più straordinaria, romanzesca, appassionante Supercoppa italiana, vincendo due volte contro la Juve. La prima in una partita di ottanta minuti, in cui ha messo alla frusta i bianconeri, segnando due volte con Immobile e offrendo la netta sensazione di una superiorità atletica evidente. La seconda vittoria è arrivata in pieno recupero, dopo che Dybala aveva rimesso in equilibrio il risultato, con una punizione magistrale e un rigore realizzato con freddezza allo scadere. In quel momento, di fronte ai Campioni d’Italia e vice-campioni d’ Europa, quasi tutte le squadre avrebbero piegato le ginocchia, convinte che anche i fluidi erano lì a raccontare di una serata-no. La Lazio ha invece avuto la forza, l’orgoglio, la sfrontatezza per andare a vincere ancora, con due giocatori appena messi in campo da Simone Inzaghi: Lukaku ha costruito l’azione del gol, il giovane Murgia - un ragazzo di cui sentirete parlare, un tifoso della Lazio e un prodotto di un vivaio straordinario - ha realizzato con un piattone che poteva essere nel repertorio di Higuain. Chissà se - statisticamente - questo è il primo trofeo della nuova stagione o l’ultimo di quella passata. Di sicuro è il coronamento del lavoro di Simone Inzaghi, che ha saputo governare i momenti anche più delicati, trovando sempre le soluzioni migliori. L’assenza di Felipe, la bufera della vigilia per il caso Keita: Inzaghi ha pescato ancora una volta le carte giuste, valorizzando anche il lavoro dei dirigenti. Già, perché è il caso di dirlo: ancora una volta Lotito e Tare sono riusciti a dimostrare che sul mercato hanno pochi rivali. Pensate a De Vrij, acquistato per meno di dieci milioni. Esattamente come Milinkovic-Savic o Immobile. Giocatori che oggi ne valgono almeno un centinaio. Ma la storia è stata impreziosita dalle due “novità” decisive di questa finale: Luis Alberto e Lucas Leiva. Il primo, già in organico lo scorso anno, ha dimostrato qualità inesplorate e valorizzate appunto da Inzaghi. Lucas Leiva, con un curriculum eccezionale, sin dal primo momento era stato designato come erede di Biglia. Il prezzo del cartellino, pochi milioni di euro, ha ingannato parecchi, perché il giocatore è di profilo internazionale.

La sconfitta brucia, ma la Juve non deve drammatizzare, sicuramente sperava di ricominciare la stagione in maniera differente da come aveva chiuso quella passata. Non c’è dubbio che Allegri - a differenza di Inzaghi - abbia pagato anche le fatiche di un precampionato consumato più sulle scalette degli aerei che sui campi di allenamento. Ed infatti la differenza di condizione atletica è apparsa nettissima. Non c’è dubbio neppure che la partita abbia ancora di più valorizzato la necessità di intervenire sul mercato: lo sanno bene Agnelli, Marotta e Allegri e non c’è naturalmente bisogno che a loro lo ricordi nessuno. Alla Juve manca una pedina per sostituire Bonucci, che rispetto a tutti gli altri aveva caratteristiche completamente diverse, da primo play maker più ancora che da ultimo difensore. Ma, ancora di più, manca un centrocampista che la Juve insegue da un anno, quando era convinta di aver preso Witsel. Che probabilmente non era neppure l’optimum. Ora si tratta, in questi diciassette giorni che mancano alla fine del mercato, di individuare il giocatore indispensabile. L’identikit? Facile: uno come Pirlo. Anzi no, come il miglior Pogba.


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