Pagina 2 | Il 2018 in 10 momenti: ecco il bello del calcio

Non è stato breve, ma siamo arrivati in fondo. Avevamo cominciato con George Weah che diventava presidente della Liberia. A 51 anni. Quindi, subito prima di compierne 52, disputava ancora una partita di calcio, in mezzo a giocatori in attività di servizio e, d’accordo, per nulla inclini a spezzare una gamba a sua eccellenza. Comunque è andato in campo, la sua Nazionale ha perso, 2-1 per la Nigeria, e Weah si è buscato settanta nove minuti di applausi. Quando è diventato presidente era gennaio. Poi siamo passati attraverso le elezioni italiane più dirompenti di sempre, un Mondiale arrivato benissimo alla fine senza di noi, i porti sbarrati, l’acidità da social a livelli di guardia, una lunga eclissi lunare, lunghe eclissi totali del cuore e vivaci risvegli di umanità. Scosse di terremoto, eruzioni, tsunami e tutto ciò che la condizione di esseri materiali ci costringe a sopportare.

E’ durato un anno. Tra poco si ricomincia. Palese il rischio di portarsi dietro nella memoria il brutto del la vita. Per esempio i grugniti vomitati addosso a Kalidou Koulibaly - e quelli analoghi rivolti ad altri giocatori neri - per di più in una sera maledetta da una morte per tifo, pure se tra le due storie non esiste collegamento al di fuori della stupidità. La zavorra non si può scaricare fuoribordo, purtroppo. Però c’è anche bellezza al mondo. E c’è bellezza nel calcio. C’è anche bontà. Facciamoci accompagnare nel 2019 da qualche esempio di tutto questo. A proposito: se ci definite buonisti ci date una medaglia.

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8 MARZO
Viola, Juventus e l’Italia intera unite da Astori
Davide Astori muore in una stanza d’albergo a Udine il 4 marzo. Da solo. De André cantava che tutti si muore soli. L’intero calcio si ribella all’idea. Giorni di lutto globale. Mauricio Pinilla dedica all’amico un gol segnato in Cile e scoppia a piangere. I funerali a Santa Croce richiamano diecimila persone. Tra queste, delegazioni delle squadre. Allegri, Buffon, Marchisio, Chiellini, Pjanic, Marotta, Rugani rappresentano la Juventus. Squadra nemica, se mai la Fiorentina ne ha avuta una. Vengono accolti da un applauso lungo e caldo. Come se nessuno fosse solo, neppure davanti all’ultimo dolore.


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3 APRILE
Colpo di fulmine tra Cristiano e lo Stadium
È salito a 2,38 metri di altezza, calcolano, per colpire il pallone con la puntualità di una bolletta della luce: quella che arriva sempre e perfettamente al momento sbagliato. Così Cristiano Ronaldo per un istante congela la voce dello Stadium e poi fa sciogliere gli applausi. La Juve verrà eliminata dai quarti di Champions League, lasciamo stare le polemiche della gara di ritorno. Ma mentre esulta Ronaldo sente qualcosa. Sente, lo racconterà, che in qualche inesplicabile modo quel capolavoro lo porta altrove e che quell’altrove è già casa sua. Il 10 luglio firma per la Juventus. C’è rovesciata e rovesciata.


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1 MAGGIO
Il no al razzismo della squadra dei ragazzini
E’ uno degli eroi del 2018. Non lo diciamo per fare retorica: li chiamano così. Sono 35 protagonisti del’impegno civile che riceveranno dal Presidente Mattarella l’Ordine al merito della Repubblica Italiana. Igor Trocchia ha fatto l’eroe nel calcio, quello dei piccoli. E’ tecnico al Pontisola, per la precisione Associazione Calcio Ponte San Pietro-Isola: una delle società più apprezzate del Bergamasco. Il primo maggio ha ritirato gli Esordienti da un torneo a Rozzano, in provincia di Milano. Un dodicenne della sua squadra era stato insultato con una frase razzista da un coetaneo e aveva rifiutato le scuse. Trocchia ha scoperto l’accaduto, ha parlato con i suoi allievi. Di comune accordo, hanno deciso di lanciare un segnale. Erano solo parole di ragazzi, in fondo, ma poi i ragazzi crescono e anche le parole.


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15 GIUGNO
Tabarez esulta finché Dio lo permetterà
Lo ha saputo due anni fa. Non era ancora vecchio, non lo sarà mai. Oscar Tabarez è El Maestro in Uruguay e un cantante di Sanremo in Italia, almeno così lo ha aveva definito Berlusconi esonerandolo. Ora è un giovane di 71 anni che dirige la Nazionale. E ha la sindrome di Guillain-Barré: significa problemi di deambulazione e di respirazione. Tanti lo hanno scoperto al Mondiale di Russia, quando entrò in campo ballando sulla stampella per celebrare il primo gol dell’Uruguay. Allenerò finché Dio vorrà, ha detto. E ha firmato per un altro quadriennio.


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2 LUGLIO
L’ordine regna quando gioca il Giappone
Può darsi sia stata una moda passeggera, di quei virus mentali, spesso benefici, che passano di tribuna in tribuna. Forse una storia dell’estate, roba da Olimpiadi e dintorni. Però è accaduto. I giapponesi al Mondiale in Russia si sono messi a pulire le zone dello stadio occupate durante le partite: sacchetti di plastica, guanti e nessuna traccia sulla scena del tifo. Colombiani e senegalesi hanno visto, apprezzato, imitato. I giocatori del Giappone si sono messi in linea con i propri sostenitori. Avevano perso 3-2 negli ottavi contro il Belgio. Partita ribaltata nel finale, gol decisivo preso al 94’. Erano furibondi. Erano disperati. Ma hanno riordinato lo spogliatoio prima di abbandonarlo. Lasciando un foglio di carta sul tavolo. C’era scritto, in caratteri cirillici, “spasiba”. Grazie.


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17 SETTEMBRE
Il piccolo Totti e qualcosa che vale più di un gol
A Madrid il padre aveva ricevuto una delle più commoventi standing ovation della carriera. Cristian Totti ha fatto tutto senza aspettarsi nulla, invece, tantomeno un applauso. Glielo hanno tributato ugualmente, per il cognome che porta. Ancora non aveva compiuto tredici anni. C’erano un torneo e una scelta: segnare un gol oppure andare a vedere come stesse il portiere avversario, con il quale si era appena scontrato. Cristian è andato dal portiere. Poi in inglese ha spiegato con candore quanto gli avessero fatto piacere i ringraziamenti dell’altro giocatore e i complimenti ricevuti dal suo tecnico. Il padre ha detto: io prima avrei segnato e poi pensato al resto. Lo ha detto e non in inglese, ma sapeva di mentire.


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25 NOVEMBRE
Un segno rosso per sconfiggere la violenza
L’uomo di Anfield può festeggiare grazie al cugino Prendere sei reti e tanti applausi da tutto lo stadio Era già stato fatto alla 34ª giornata dello scorso campionato, in aprile. L’iniziativa della traccia rossa sulle guance, un segnale contro la violenza sulle donne, ha avuto una replica nella giornata di domenica 25 novembre enaturalmente anche negli anticipi e posticipi. #unrossoallaviolenza è il nome che l’ha caratterizzata sui social. L’hanno voluta la Lega di Serie A e l’Assocalciatori, in collaborazione con la onlus WeWorld. Hanno partecipato quasi tutti i giocatori. Ad alcuni non piace essere coinvolto in questo tipo di campagne ed è legittimo. Nessuno giudica. Ma quel marchio contava. E’ il simbolo di un livido, di una ferita. Di un segno che può uccidere, fuori e dentro.


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11 DICEMBRE
L’uomo di Anfield può festeggiare grazie al cugino
Prendere sei reti e tanti applausi da tutto lo stadio Era già stato fatto alla 34ª giornata dello scorso campionato, in aprile. L’iniziativa della traccia rossa sulle guance, un segnale contro la violenza sulle donne, ha avuto una replica nella giornata di domenica 25 novembre e Mike Kearney non vede. O meglio, vede ombre. Contorni. Ma sta lì, nella Kop di Anfield, sperando che il Liverpool venga da lui e che stia attaccando. Quando si gioca sotto la curva distingue qualcosa. Altrimenti c’è il cugino Stephen. Gli racconta la partita. Nella Kop, dove nessuno cammina da solo, lo conoscono tutti. In Italia lo abbiamo conosciuto attraverso le immagini televisive, quando Mohamed Salah ha segnato al Napoli. E Stephen ha urlato nell’orecchio di Mike quello che stava succedendo. Era il gol che ha portato il Liverpool agli ottavi di finale di Champions League. Era anche il gol che ha eliminato il Napoli. Qui molti hanno chiuso gli occhi per non vederlo. Mike avrebbe dato qualsiasi cosa per vederlo. Così funziona il mondo.


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26 DICEMBRE
Prendere sei reti e tanti applausi da tutto lo stadio
Nel 2019 Matera sarà capitale europea della cultura. Questa sera Rai1 trasmetterà da lì il tradizionale show di fine anno. La squadra di calcio non può festeggiare niente. Praticamente non c’è. I giocatori non ricevono gli stipendi e di conseguenza non giocano. Al loro posto nel terzo girone della Serie C vanno in campo i ragazzi della Berretti. Adolescenti, al massimo ventenni. Hanno incassato quattro gol dal Rieti. Ne avevano presi sei il 26 dicembre in casa, dalla Reggina. Ma nel giorno in cui c’era chi grufolava contro Koulibaly, i tifosi calabresi hanno chiamato i ragazzi del Matera sotto la curva. Per applaudirli e incoraggiarli. I giocatori hanno fatto il giro del campo e sono andati dai propri sostenitori. Altri applausi. Chiamatelo il bello del calcio, a noi sembra il bello del mondo.


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29 DICEMBRE
Tutti insieme con la faccia di Koulibaly
Non siamo soltanto uguali, il che è piuttosto ovvio. Siamo lui. Lo siamo tutti. Chi insulta lui insulta noi e insulta qualsiasi altro essere umano, compreso se stesso. Kalidou Koulibaly, difensore centrale del Napoli, il 26 dicembre a Milano durante la gara contro l’Inter viene investito da una pioggia di ululati. Ogni volta che si avvicina al pallone. E’ razzismo, è solo fobia per l’avversario, è un disperato piano zeta per fermarlo? Che differenza volete faccia? Tre giorni dopo al San Paolo i cartoncini con la foto del giocatore diventano la faccia di tanta gente. E i cori, gli stendardi, gli striscioni, sono in massima parte dedicati a Koulibaly. Che non gioca perché è squalificato. Eppure c’è, perché tutti quelli che sono lì a guardare si sentono come lui e si sentono bene.


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8 MARZO
Viola, Juventus e l’Italia intera unite da Astori
Davide Astori muore in una stanza d’albergo a Udine il 4 marzo. Da solo. De André cantava che tutti si muore soli. L’intero calcio si ribella all’idea. Giorni di lutto globale. Mauricio Pinilla dedica all’amico un gol segnato in Cile e scoppia a piangere. I funerali a Santa Croce richiamano diecimila persone. Tra queste, delegazioni delle squadre. Allegri, Buffon, Marchisio, Chiellini, Pjanic, Marotta, Rugani rappresentano la Juventus. Squadra nemica, se mai la Fiorentina ne ha avuta una. Vengono accolti da un applauso lungo e caldo. Come se nessuno fosse solo, neppure davanti all’ultimo dolore.


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