Un organo monopolista è adatto a guidare il calcio? La domanda retorica di Andrea Agnelli al forum organizzato dal Financial Times scuote le cattedrali del pallone e rilancia la sfida della Superlega. La risposta che il presidente della Juve si dà è, ovviamente, negativa: la Uefa non può essere l’unico vertice del sistema. Ma è proprio così?
In quanto espressione dell’autonomia privata, il calcio ha diritto di autodeterminarsi e di autorganizzarsi in autonomia. Ma nel percorso a cavallo di tre secoli, nei quali lo Sport si è imposto come la più universale dimensione dell’esistenza umana sul pianeta, un solo principio ha determinato il suo sviluppo: quello per cui c’è solo un principe per ciascun posto, cioè un solo ente regolatore per ciascuna comunità. Il Comitato olimpico internazionale si è data una configurazione monopolistica, perché ha attribuito alla sola Fifa il governo del calcio nel mondo, e la Fifa ha delegato questo potere alla sola Uefa in Europa, e a sua volta la Uefa l’ha riconosciuto in Italia alla sola Figc. La Corte di giustizia europea e il tribunale dello Sport di Losanna sono concordi nell’equiparare le federazioni in amministrazioni di fatto, dotate di una funzione pubblicistica, e sottoposte perciò a obblighi di trasparenza e di democrazia interna.
Questo equilibrio è nei fatti alternativo a qualunque altra configurazione. Chi volesse far nascere un nuovo sistema calcistico, potrebbe farlo in ragione del sacro diritto ad autodeterminarsi e ad autorganizzarsi. Ma non potrebbe pretendere di tenere i piedi nel vecchio e nel nuovo sistema. Che vuol dire in concreto? Che Agnelli, Perez e gli altri soci della Superlega hanno pieno diritto di invocare una profonda riforma del calcio, e hanno pieno diritto di scalare il movimento sportivo per realizzarla. Non possono però rivendicare il diritto alla Superlega, che è una secessione dal sistema, in nome della libertà e della concorrenza. Perché, nei modi con cui l’hanno fin qui condotta, la loro è una battaglia anarchica e antagonista.
Tuttavia, al netto di queste lotte di potere, il calcio deve cambiare. Deve rafforzare la sua dimensione europea, cioè deve riformare profondamente le competizioni di Coppa, senza mortificare i campionati nazionali, facendo sì che il rapporto tra i due livelli, quello statale e quello sovrastatale, si fondi in maniera decisiva sul merito sportivo, e non sul potere finanziario. Questo vuol dire progettare un campionato europeo per club aperto, a cui accedano le squadre meglio qualificate nei tornei nazionali.
Se invece di organizzare la secessione, Agnelli si facesse portatore di un progetto di riforma convincente, ancorata ai valori della sportività, la sua battaglia avrebbe più chance. Messa così, la Superlega sembra ancora il rimedio egoistico dei più forti agli errori di gestione commessi in questi anni. È il modo più facile per passare dalla parte del torto, pur avendo nel merito non poche ragioni. Rifletta il presidente della Juve, e cambi progetto, narrazione e stile.